L'euro-fortezza e la Direttiva sui rimpatri. L’entrata in vigore della Direttiva Ue che dovrebbe prevenire il soggiorno irregolare di cittadini extracomunitari non ha avuto la meritata attenzione sulla stampa italiana. Pubblicata in Gazzetta ufficiale il 24 dicembre 2008, essa prevede il rimpatrio di chi soggiorna irregolarmente sul territorio comunitario,

intendendo con questo anche il trasferimento verso il paese di transito, ossia di ultima partenza, verso l’Europa. Le conseguenze potrebbero essere molto serie: gli immigrati dovranno da lì rientrare verso le proprie terre d’origine. Visto che difficilmente le autorità dello Stato di transito acconsentiranno alla loro permanenza sul territorio, non è escluso che, in zone dove la mobilità risulta complessa, si rivolgano anche agli stessi trafficanti di uomini che li avevano condotti fino all’imbarco per l’Europa. Il rimpatrio potrà essere volontario o forzato: è il primo a essere incoraggiato escludendo la misura accessoria del divieto di ingresso per i successivi 5 anni, inflitta a chi invece verrà rimpatriato forzatamente. Proprio pensando a questa situazione si capisce la vera posta in gioco dell’estensione del significato di ‘rimpatrio’: la possibilità del trasferimento verso lo Stato di transito consentirà di aggirare le difficoltà che spesso ostacolano l’esatta individuazione del luogo d’origine dell’immigrato che, peraltro, subirà le conseguenze di incertezze, incapacità e responsabilità a lui solo parzialmente imputabili. Persino un minore non accompagnato potrà essere rimpatriato e non può certo soddisfare la subordinazione all’obbligo – in capo alle autorità dello Stato interessato – di verificare che, una volta a destinazione, egli venga consegnato ad un membro della famiglia, ad un tutore designato o presso adeguate strutture di accoglienza.

L’intera norma è ampiamente criticabile, anche perché figlia della pretesa di disciplinare il fenomeno migratorio adottando norme fondate esclusivamente su modelli e concetti propri della cultura europea e, per questo, poco idonei a rapportarsi con popolazioni di civiltà e culture differenti dalla nostra. Si pensi, a questo proposito, alle differenti interpretazioni del concetto di famiglia, concetto evidentemente proprio di ogni nazione e cultura ma assai eterogeneo nella sostanza, così come alla molteplicità degli assetti istituzionali esistenti o, ancora, all’ambiguità del riferimento al tutore, che sembra presupporre un ordinamento giuridico prossimo al nostro. In attesa di essere rimpatriato, o autorizzato all’ingresso sul territorio dell’UE, il cittadino irregolare, anche minorenne, potrà essere trattenuto per sei mesi, estendibili però fino a diciotto, in un centro di permanenza temporanea, che potrebbe anche essere un carcere poiché la direttiva autorizza gli Stati membri, qualora ne fossero privi, ad utilizzare tali strutture, con il solo obbligo di separare immigrati e criminali. Una scelta pericolosa anche concettualmente, visto che, ospitando gli immigrati in strutture che sorgono per ragioni afflittive si favorisce oltretutto, nell’immaginario collettivo, l’equazione immigrato irregolare = criminale. Inoltre, la professione degli agenti di custodia richiede una formazione ben diversa, anche in relazione alla conoscenza dei diritti dei reclusi, da quella di chi opera presso un centro di permanenza temporanea. Infine, l’errore si ripercuote sui minori trattenuti: il carcere non può essere struttura idonea ad accoglierli, vista soprattutto la necessità di garantire loro aree per il gioco e la scolarizzazione.

Desta preoccupazione, quindi, che si cerchi di affrontare la questione dell'immigrazione con misure esclusivamente securitarie piuttosto che di accoglienza e integrazione. Alcune di queste, poi, sembrano sposare un indirizzo contrario a quanto annunciato: l’estensione del significato della parola ‘rimpatrio’ e la sua previsione anche per i minori non accompagnati vanno in senso opposto alle manifestate volontà di accoglienza, di tutela dei diritti delle persone, di lotta contro la tratta degli esseri umani. Insomma, il rischio è che più della sbandierata Europa della solidarietà, dei diritti e dell’accoglienza, si affermi l’idea di chi – come è stato scritto nella petizione di protesta contro la «Direttiva rimpatri» promossa dalle autorevoli giuriste Marzia Barbera, Donata Gottardi e Julia Lopez - vorrebbe realizzata ‘un’Europa fortezza, che si appresta a costruire mura e prigioni per i più deboli fra il nostro prossimo’.