Il Pasticcio di Adro – espressione ormai idiomatica, come la Disfida di Barletta – ci riserva ogni giorno nuove sorprese. La simpatica vicenda della scuola pubblica decorata con settecento Soli delle Alpi, per non parlare del crocefisso inchiavardato alla parete, riempie ormai intere pagine web. Particolarmente fotografato lo zerbino della scuola, anch’esso decorato del glorioso simbolo padano: con intere comitive di studenti, s’immagina, che vengono anche da fuori regione a pulircisi voluttuosamente le scarpe. Mancano invece notizie sui bagni della scuola: ma per arrivare a settecento, qualche Sole delle Alpi devono avercelo messo anche lì. Un bel progresso, rispetto alla scuola di un tempo. Una volta, a disegnare sui muri svastiche, cuori infranti e oscenità varie dovevano pensarci gli studenti; oggi, invece, ci pensa direttamente l’amministrazione comunale.
Ma il protagonista indiscusso della vicenda è lui, il sindaco di Adro Oscar Danilo Lancini, a guida di un monocolore leghista eletto con il sessantadue per cento dei voti. In tempi di personalizzazione della politica, ci si può limitare a parlare del peccato avendo a disposizione un peccatore del genere? Naturalmente no: ma niente a che fare, diciamolo subito, con il cliché del politico tronfio dilagante in questi giorni di mercato dei deputati. Con lui non attacca neppure la finta intervista in ginocchio, stile Antonello Caporale di Repubblica, che convince puntualmente l’intervistato a rivelare le peggio cose di sé e del proprio habitat naturale: intervista ormai assurta alla dignità di nuovo genere letterario. Ebbene, l’Oscar è refrattario a tutti questi giochetti: l’uomo è tutto d’un pezzo, sembra scolpito nella stessa pietra dei suoi settecento soli.
Si era cominciato a parlare di lui questa primavera, quando si era distinto nella lotta alla morosità nel pagamento delle mense scolastiche, lasciando a digiuno i bambini dei genitori morosi. Allora si era pensato che fosse la solita ricerca del quarto d’ora di notorietà: con la puntuale trafila di dichiarazioni ai giornali, imbarazzanti apparizioni televisive, richieste da parte di un ignoto benefattore di pagarle lui, le rette della discordia, e infine, inevitabilmente, le storielle da pagine interne del Fatto quotidiano, relative all’Ici evasa dall’industria di famiglia. Sciocchezze, tutto sommato. Quello che si capiva già era che il Nostro stava cercando la grande occasione per entrare a piedi uniti nella storia della Padania, e possibilmente per restarci. E così siamo arrivati alla faccenda della scuola.
Nella quale, va detto, è il solo ad aver tenuto botta: più della ministra dell’istruzione, Mariastella Gelmini, che sinora ha soprattutto abbozzato, più dei vari caporioni leghisti, i quali si sono limitati a bofonchiare che sì, forse settecento simboli sono troppi. L’unica cosa certa – ha scritto Michele Brambilla sulla Stampa – «è che per togliere quei settecento soli delle Alpi ci vorranno più di trentamila euro. Uno è addirittura sul tetto della scuola e lo si può vedere solo dall’alto. Forse il sindaco l’ha voluto lì sull’esempio dei costruttori delle cattedrali medievali». In realtà, di cose certe ce ne sono altre. Una è che l’esempio di Adro si va diffondendo: a Cividale al Piano, a Palazzago, a Dosolo, a Buguggiate, è tutto un fiorire di simboli leghisti, con i quali gli amministratori del Carroccio – come i gatti, però a nostre spese – segnano il territorio. E questo conferma un’altra verità: uno come il Lancini, capace di dettare la linea, è sprecato come sindaco di Adro. Scommettiamo che prima o poi ce lo ritroviamo ministro?