Dall'Atene antica a Montesquieu, da Aristotele a Rousseau, le elezioni erano lungi dall'essere considerate lo strumento democratico per eccellenza: democrazia non equivaleva a sistema rappresentativo, e il dispositivo che meglio garantiva la rigorosa uguaglianza dei candidati era semmai l'estrazione a sorte. Che cosa è accaduto alla fine del XVIII secolo in Europa e negli Stati Uniti perché a tale concezione multisecolare si sostituisse l'idea della coincidenza tra democrazia e rappresentanza? In realtà, come mostra Bernard Manin tracciando la genealogia del governo rappresentativo, esso è una combinazione di tratti democratici e tratti oligarchici. Oggi l'evoluzione della democrazia suggerisce di guardare senza nostalgia alla presunta età aurea dei partiti di massa. Le tendenze recenti, che valorizzano il ruolo dei leader e della comunicazione, rammentano i primordi del sistema rappresentativo, fondato sulle persone e sui rapporti diretti. Nella presente "democrazia del pubblico" il confronto tra individui ha sostituito quello fra grandi ideologie interpretate da grandi organizzazioni. Analizzando premesse, significati e percorsi del governo rappresentativo, Manin conduce in queste pagine una magistrale indagine sulla democrazia e sulle sue metamorfosi.

Bernard Manin è docente di Scienza politica nella New York University e direttore di ricerca presso l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales. Tra le sue pubblicazioni "On legitimacy and political deliberation" (1987) e "Democracy, accountability and representation" (con A. Przeworski e S. Stokes, 1999).

Nota: Introduzione di Ilvo Diamanti

Collana "Collezione di testi e di studi", Bologna, il Mulino, pp. 312, euro 30.