Le primarie del Sol Levante. Il Partito democratico (Pd), alla guida del Giappone dal settembre del 2009, è una delle compagini fondate da ex membri del Partito liberal democratico (Pld) che, fautori di una moralizzazione del sistema politico, ne fuoriuscirono a causa di ripetuti scandali a partire dal 1993, anno della pesantissima debacle elettorale del grande partito rimasto ininterrottamente al potere dalla sua formazione nel 1955.Il primo anno di governo del Pd si sta rivelando piuttosto movimentato: dopo le dimissioni del Primo ministro Hatoyama Yukio, avvenute l’8 giugno, e la perdita della maggioranza alla Camera alta in occasione delle elezioni dell’11 luglio scorso [si veda la “lettera internazionale” del 30 luglio 2010], si assiste oggi – 14 settembre – all’elezione per la presidenza del Pd, atto finale del braccio di ferro tra il potente Ozawa Ichirô, già segretario generale del Pld e segretario generale uscente del Pd, e l’attuale Primo ministro, Kan Naoto. Nonostante i due abbiano garantito reciproca lealtà e collaborazione qualunque sia l’esito dell’elezione, è inevitabile che oltre alla leadership del partito il voto metta in discussione anche quella del paese. Dalla politica fiscale a quella estera, le proposte avanzate da Ozawa sono in forte contrasto con le scelte di Kan e lasciano prevedere, in caso di sua vittoria una netta svolta nella conduzione del paese (si tratterebbe del terzo premier espresso dal Pd in un anno). In caso di vittoria di Kan, molti analisti prevedono che Ozawa e i suoi seguaci possano abbandonare il Pd, dando vita a una nuova formazione politica.

Benché si tratti di una consultazione interna al partito, i suoi effetti hanno evidentemente valenza nazionale. Secondo gli ultimi sondaggi effettuati telefonicamente dalle due maggiori testate, Asahi Shimbun e Yomiuri Shimbun, Kan gode di uno schiacciante favore popolare, attorno al 65-66%, contro il 17-18% del suo avversario Ozawa; il 75% degli intervistati dall’Asahi è contrario alla candidatura di Ozawa perché egli ha presentato le sue dimissioni da segretario generale del Pd a giugno in seguito a uno scandalo finanziario (abbandonando per la seconda volta e per lo stesso motivo un posto chiave nel partito). Tuttavia, la situazione rimane molto fluida. Il vincitore della gara presidenziale deve ottenere la maggioranza di 1224 voti, solo 300 dei quali spettano alla base, i restanti ai rappresentanti del Pd nella Dieta e nelle assemblee locali, molti dei quali sostengono Ozawa, tra cui l’ex Primo ministro Hatoyama e il suo gruppo. Sembra quindi inevitabile una profonda frattura all’interno del Pd, e di conseguenza la destabilizzazione dell’amministrazione nipponica, che già si confronta con gravi problemi. Innanzitutto economici: il sorpasso della Cina come seconda potenza economica mondiale ha scosso il Giappone che, in crisi già da un ventennio, sta cercando un nuovo percorso di riforme che favorisca una ripresa che oggi appare piuttosto faticosa e difficile. Ma esiste anche un delicato nodo di natura giudiziaria. Se Ozawa dovesse vincere la competizione e divenire Primo ministro, in base all’articolo 75 della Costituzione egli non potrebbe, senza il suo consenso, essere incriminato per il presunto uso illecito di fondi politici (400 milioni di yen), per il quale tre suoi ex assistenti sono già stati incriminati, facendo di conseguenza slittare il procedimento giudiziario alla fine del proprio mandato di governo. Ozawa ha peraltro negato l’intenzione di avvalersi dello scudo giudiziario previsto dalla Carta, ma sono in molti a dubitarne.