Che impatto hanno avuto la pandemia e la correlata crisi economica sulle immatricolazioni universitarie nel nostro Paese? La didattica a distanza e il calo dei redditi familiari come hanno modificato la propensione per la formazione terziaria? Come si configura in quest’anno orribile la mappa territoriale, dimensionale e qualitativa degli atenei più attrattivi e di quelli in contrazione?

1. Tra maggio e fine agosto dello scorso anno, quando i neo-diplomati dell’era Covid-19 stavano decidendo se e dove continuare gli studi, si ipotizzavano differenti possibili scenari, in parte contrapposti: (i) la crisi economica conseguente al lockdown avrebbe inciso negativamente sulle possibilità delle famiglie di investire in istruzione terziaria, determinando un calo drastico degli immatricolati, in analogia a quanto avvenuto nel 2007-2008 e nelle altre grandi recessioni precedenti; (ii) d’altro canto, la previsione di un calo dell’occupazione generato dalla chiusura di molte imprese e la decisione del governo di aumentare la soglia di esenzione per reddito delle tasse di iscrizione, avrebbero ridotto il costo-opportunità di proseguire nella formazione universitaria, neutralizzando così gli effetti negativi della crisi sui redditi delle famiglie e relativa capacità di spesa in istruzione terziaria, e incoraggiato, pertanto, le immatricolazioni; (iii) i timori del contagio del virus avrebbero probabilmente indirizzato più che in passato le preferenze dei potenziali immatricolati verso gli atenei «sotto casa», affievolendo così gli intensi flussi migratori, in particolare da Sud a Nord, dell’ultima decade; (iv) tuttavia, la didattica a distanza avrebbe consentito di iniziare il percorso universitario in atenei distanti da casa senza sostenere il costo del vivere fuori sede, rendendo più probabile la scelta degli atenei maggiormente «attrattivi» e «prestigiosi» localizzati prevalentemente al Centro Nord, continuando, dunque, ad alimentare la diaspora dal Mezzogiorno; (v) o, al contrario, la scarsa possibilità, a causa delle restrizioni della mobilità e della presenza in aula,  di vivere pienamente l’esperienza universitaria come forma di vita altera ai ritmi familiari e scolastici tradizionali, avrebbe scoraggiato la scelta di atenei lontani dal luogo di residenza.

Seppure i dati aggregati pubblicati di recente dal Miur non consentano di analizzare i comportamenti individuali e di fornire un quadro dettagliato delle dinamiche intercorse, l’esito è stato probabilmente la risultante di tutte queste forze contrapposte.

le immatricolazioni, nonostante abbiano subìto un rallentamento rispetto al triennio precedente, smentiscono sia le previsioni catastrofiche nella fase della programmazione dell’offerta didattica degli atenei sia l’ottimismo a ridosso del termine per le iscrizioni

2. Ciò che appare evidente è che le immatricolazioni, nonostante abbiano subìto un rallentamento rispetto al triennio precedente, smentiscono sia le previsioni catastrofiche nella fase della programmazione dell’offerta didattica degli atenei sia l’ottimismo a ridosso del termine per le iscrizioni. Nel suo insieme, nel primo anno accademico post Covid-19 il sistema universitario non registra, infatti, drastici contraccolpi: i nuovi immatricolati sono poco più di 7.000, pari a un incremento del 2,3%. Piuttosto, l’andamento delle immatricolazioni risulta differenziato per tipologia, dimensione e geografia degli atenei, sebbene entro un quadro di scostamenti medi contenuti. Gli atenei di Perugia e Bergamo si posizionano agli estremi della polarizzazione: il primo aumenta il numero degli immatricolati del 37,5% (+1.658 studenti), il secondo lo riduce del 35,4% (-1.913).

3. Solo una dozzina di atenei, tutti pubblici, sperimentano una crescita sostenuta, cioè misurabile con un incremento di almeno +6% e di oltre 500 immatricolati. Nell’ordine, occupano i primi posti gli atenei di Perugia, Foggia, Genova, Catania, Verona, Messina, Milano Bicocca, Roma Tre. All’opposto, sono dieci gli atenei in maggiore calo, quelli cioè che registrano perdite relative superiori al -5% e oltre 100 immatricolati in meno: in particolare contrazione Bergamo, Roma Unitelma, Reggio Calabria Dante Alighieri, Roma Uninettuno, Modena-Reggio Emilia. Gli atenei in crescita coincidono in larga parte con quelli più attrattivi dell’ultimo decennio, lasciando intuire un effetto «inerziale» delle immatricolazioni, con attenuazione degli impatti negativi connessi alla crisi pandemica. Al contrario, la caduta di Bergamo è emblematica del pesante contraccolpo dovuto alla drammatica situazione epidemiologica, mentre le piccole università private e telematiche perdono competitività in un anno in cui la formazione terziaria viene erogata a distanza o, al più, in modalità «mista».

Solo una dozzina di atenei, tutti pubblici, sperimentano un incremento di almeno il 6% e oltre 500 immatricolati: Perugia, Foggia, Genova, Catania, Verona, Messina, Milano Bicocca, Roma Tre. All’opposto, sono dieci quelli cioè che registrano perdite relative superiori al 5% e oltre 100 immatricolati in meno

4. Dal punto di vista territoriale, l’incremento più forte si registra nelle università dell’Italia centrale (+6,4%), grazie soprattutto al dinamismo degli atenei di Perugia, Roma Tre, Firenze e Roma La Sapienza. Il Nord Ovest è invece l’area con la crescita più debole (+1,2%), anche se Genova, Milano Bicocca e Torino accrescono in modo rilevante la dimensione degli immatricolati (rispettivamente di 1.420, 960 e 800 unità); di contro, Milano (-600) e, come si è già detto, soprattutto Bergamo subiscono riduzioni significative, non a caso entrambi localizzati nell’area più colpita dalla prima ondata della diffusione del Coronavirus. Va meglio il Nord Est (+2,7%), soprattutto per l’attrattività degli atenei di Verona, Padova e Ferrara (insieme 2.300 immatricolati in più) che sovrasta la flessione di Modena-Reggio Emilia, Venezia Ca’ Foscari e Bologna (insieme -959). Positivo e superiore alla media il trend degli atenei meridionali (+3,8%), nonostante le tendenze negative dell’ultimo decennio, sostenuto dalle buone performance di Foggia, Catania, Messina e Napoli Parthenope (insieme +3.000 circa). Sembrerebbe dunque che da un lato abbia operato un «effetto sostituzione» degli atenei del Centro maggiormente attrattivi sulle università storicamente di richiamo del Nord ma ubicate nei territori maggiormente colpiti dalla pandemia. Altri atenei, consapevoli dello svantaggio competitivo nel reclutamento di nuovi studenti generato dalla diffusione del Coronavirus hanno offerto un pacchetto di incentivazioni di assoluto rilievo agli immatricolati: ad esempio, il «piano» dell’Università di Padova prevedeva, oltre che l’abbassamento delle tasse, aiuti per l’affitto, la connessione, i trasporti, l’acquisto di un pc, per complessivi 13 milioni di euro.

5. Il complesso degli atenei pubblici vanta una crescita apprezzabile delle immatricolazioni (+3,9%), mentre gli atenei privati, in gran parte telematici, subiscono una contrazione (-2,8%), a dispetto del trend espansivo comparativamente più accentuato nel corso dell’ultima decade. L’adozione, anche da parte degli atenei pubblici, della didattica a distanza in maniera generalizzata ha di fatto scardinato il punto di forza dell’attrattività delle università telematiche private.

6. Tra le università pubbliche, quelle grandi, che contano tra 20 e 40 mila iscritti, mostrano la crescita più sostenuta (+8,8%; circa 7.600 immatricolati in più); solo tre su diciassette subiscono un arretramento: Modena-Reggio Emilia, Salerno e, in forma molto lieve, Chieti-Pescara. In crescita (+5,4%; +777) risultano pure le università piccole (fino a 10.000 iscritti), seppure la dinamica positiva sia riconducibile esclusivamente agli atenei di Foggia e Camerino. In aumento contenuto (+3,8%; +4.326) anche gli immatricolati nei mega atenei (con più di 40.000 iscritti); sette su dieci crescono, ma in modo accentuato solo Catania; tre invece accusano una perdita, più contenuta per Bari e Bologna, più intensa per Milano. Nell’insieme, perdono immatricolati (-4,3%; -2.088 studenti) gli atenei medi (tra 10 e 20 mila iscritti); oltre alla contrazione marcata di Bergamo, subiscono arretramenti di rilievo Catanzaro, L’Aquila, Venezia Ca’ Foscari, Marche, Napoli L’Orientale; cresce invece in modo sostenuto Napoli Parthenope (+18,7%) e a tassi più contenuti anche Trieste e Salento. I quattro politecnici mostrano una sostanziale stabilità degli immatricolati, appena 134 unità in più (+0.9%), di cui 110 nel Politecnico di Torino; mentre quello di Bari riduce l’attrattività (-71 unità). Mega, grandi atenei e politecnici pubblici, generalmente dotati di maggiori risorse rispetto alle piccole e medie università statali risultano comunque relativamente più attrattivi in una situazione di generale incertezza, in quanto percepiti anche come strutture maggiormente attrezzate sia per l’istruzione a distanza sia per soluzioni di offerta didattica articolata e in sicurezza.

7. In riferimento alle università private, la caduta di immatricolati è intensa e generalizzata negli atenei piccoli (fino a 5.000 iscritti), che perdono in aggregato circa il 13%, con contrazioni relative elevatissime (oltre il 75%) nelle università Roma Unitelma e Dante Alighieri di Reggio Calabria; in espansione sono invece Liuc di Castellanza (+12,6%) e l’università di Aosta (7,9%), anche se per incrementi assoluti modesti. Riguardo ai grandi atenei non statali (quelli con più di 10.000 iscritti), la perdita (-3,3%) è da attribuire soprattutto all’andamento negativo delle università telematiche Marconi e Uninettuno. In leggera contrazione è pure la Cattolica di Milano (-0,6%), mentre la Bocconi è l’unica università privata di grandi dimensioni a segnalare un leggero incremento degli immatricolati (+71, pari al +2,6%). Gli atenei privati di dimensioni medie (tra 5.000 e 10.000 iscritti) crescono (+209 immatricolati; +2,8%), trainati dalla buona performance della Luiss (181 immatricolati in più; +10,9%).

i dati sembrano indicare una doppia tendenza: da un lato, un’accentuazione del reclutamento locale degli atenei in contrazione e, dall’altro, un rafforzamento della capacità degli atenei in crescita di attrarre potenziali iscritti residenti in province distanti

8. Sotto il profilo della provenienza degli immatricolati, i dati sembrano indicare una doppia tendenza: da un lato, un’accentuazione del reclutamento locale degli atenei in contrazione e, dall’altro, un rafforzamento della capacità degli atenei in crescita di attrarre potenziali iscritti residenti in province distanti. L’ateneo bergamasco, a causa del crollo degli immatricolati residenti nelle province confinanti (1.013 in meno su una perdita complessiva di 1.913), subisce un processo di ulteriore «provincializzazione»: due terzi degli immatricolati 2020-21 sono residenti nella provincia di Bergamo a fronte di poco più della metà dello scorso anno. Una tendenza simile si registra nell’ateneo di Modena-Reggio Emilia e in diversi altri accomunati da forte decrescita. Al contrario, l’ateneo perugino, quello più dinamico, registra un forte ridimensionamento degli immatricolati residenti nella provincia (dal 67 al 54%) più che controbilanciato dall’aumento degli immatricolati provenienti da più lontano. Andamento simile si riscontra anche negli atenei di Genova e Catania, per citare i primi due, uniti da tassi di crescita sostenuti degli immatricolati.

9. Riassumendo. La pandemia smorza ma non arresta la crescita degli immatricolati. Varia, tuttavia, la dinamica dell’attrattività, differenziata tra tipologie e territori. Com’era ragionevole attendersi, gli atenei localizzati nelle città più duramente colpite dal Covid-19 lo scorso anno risultano in ridimensionamento e il loro bacino di reclutamento accentua il carattere locale. Gli atenei statali mostrano andamenti decisamente migliori di quelli privati, soprattutto rispetto a quelli telematici, a ragione della trasformazione nell’intero sistema universitario della didattica nella forma a distanza. Vanno meglio gli atenei pubblici grandi e piccoli, cioè quelli che potremmo definire rispettivamente «blasonati» e «radicati», mentre vanno male gli atenei medi, soprattutto quelli meno caratterizzati. Al contrario, tra gli atenei privati riducono significativamente la loro attrattività i piccoli e i grandi, mentre reggono i medi grazie al buon andamento degli atenei con «marchio» consolidato. Gli atenei del Centro e del Sud crescono molto di più di quelli del Nord, a ragione probabilmente del timore dei contagi e dell’azzeramento delle lezioni in presenza nell’intero Paese, che riducono i vantaggi della mobilità studentesca, ma anche a causa delle limitazioni agli spostamenti e alla socialità in presenza, che attenuano la valenza della formazione universitaria come esperienza di vita autonoma dal proprio nucleo familiare in contesti urbani più dinamici e con una diversificata offerta culturale e ricreativa.