Cattolico, prete, teologo, perito conciliare e professore universitario: difficile dire che cosa non sia stato Hans Küng durante questa vita. Che si è conclusa due giorni fa, all’età di 93 anni a Tubinga, la città in cui più di ogni altra sarebbe dovuto succedere.

Küng era nato il 19 marzo 1928 a Sursee, in Svizzera e precisamente nel cantone lucernese. La sua infanzia coincide con l’ascesa al potere di Hitler, minaccia che avvertirà profondamente grazie al deciso anti-nazismo che segna presto parenti e conoscenze. Ma anche prima indubbia esperienza di misurazione con una libertà non tanto ricercata, quanto ammessa e praticata. La sua è una Svizzera lontana dai contesti opachi della finanza per cui tra molte cose essa è conosciuta: Küng nasce da una famiglia benestante ma non elitaria, di cui sembra costituire una riuscita sintesi, anche ma non solo in senso intellettuale. Determinante, evidentemente, è il quadro religioso: non estraneo alle cornici medievali e barocche in voga al tempo, eppure anche, come ogni realtà complessa, capace di generare personalità i cui vissuti trasudano testimonianza. Nel caso del giovane Küng, ciò si concretizza quando nella sua città natale giunge il reverendo Franz Xaver Kaufmann, poi parroco nella stessa, cui dedicherà pagine di gratitudine e stima per ciò che riconoscerà come lo spirito di Gesù operante in lui. E che lo affascinerà al punto da condurlo al presbiterato: una scelta mai rinnegata e rivelatrice anche, forse, della sua fermezza. Una fermezza non insensibile.

Küng ricalca il percorso che era di tutti i candidati al ministero cattolico. Fino alla decisione di partire per Roma, dopo la scuola ginnasiale, per studiare teologia all’università Gregoriana, retta dai gesuiti

Così Küng ricalca il percorso che era di tutti i candidati al ministero cattolico. Fino alla decisione di partire per Roma, dopo la scuola ginnasiale, per studiare teologia all’università Gregoriana, retta dai gesuiti: dove si accosterà al modello teologico neotomista, diffusosi su impulso di papa Leone XIII e dell’enciclica Aeterni Patris di quasi un secolo prima (1879), il cui impianto si mostrava razionale se non sillogistico, ma non sempre direttamente antimoderno. La teologia appresa da Küng è stretta tra sistole e diastole nel suo rapporto con la filosofia: della quale si concepisce, quindi, orientamento e compimento. Ma la formazione romana del giovane Küng include anche il Pontificium collegium germanicum et hungaricum, presso cui risiede e dove realmente pratica una teologia sostanzialmente mnemonica. Che si unisce a decisive frequentazioni romane (tra gli altri, Peter Lengsfeld e Josef Fischer).

Roma è il convitato di pietra di un’esistenza, la sua, mai condotta senza la Chiesa, della quale non smetterà mai di dichiararsi membro. Il suo sentire cum ecclesia significherà sempre sentire in ecclesia

E Roma diventa, in effetti, il convitato di pietra di un’esistenza, la sua, mai condotta senza la Chiesa, della quale non smetterà mai di dichiararsi membro. Il suo sentire cum ecclesia significherà sempre sentire in ecclesia, come imparerà dal gesuita Wilhelm Klein, allora direttore spirituale del collegio germanico. Sostenuto, in questo, dalla duratura fascinazione per il filosofo francese Jean-Paul Sartre, forse l’autore principale cui Küng deve uno spazio di libertà intellettuale (non intellettualistica) nella Chiesa, per la Chiesa.

La romanità della teologia che studia nella capitale d’Italia gli permette di dubitare della compatibilità di questa con la cattolicità della Chiesa: così che dirà, del tutto serenamente, che è la Roma cattolica ad averlo reso un cattolico critico verso Roma. Intendendo con questo soprattutto un fatto: la graduale attestazione dell’impossibilità di lasciare la Chiesa, come in uno scontro intimo e sconosciuto tra una libertà dell’agire e una libertà dell’esistere, in cui ha indubbiamente voluto che risuonasse il vangelo. Ne avrà modo specialmente a Parigi, dove si trasferirà, all’Institut catholique, per il completamento degli studi con il conseguimento di un dottorato in teologia incentrato sul grande teologo protestante Karl Barth, anch’egli svizzero, cui ricorre per un’indagine sulla dottrina della giustificazione.

Ma sono gli anni del concilio, annunciato da Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, quelli probabilmente più densi di stimoli. Il Vaticano II (1962-1965), che il papa definisce «pastorale», permette a Küng, allora sui trent’anni, di coniugare idealmente cura d’anime e accademia, il che è sicuramente uno dei motivi per cui confesserà la sua parziale delusione per i risultati raggiunti dall’assise. Che il giovane teologo vivrà da perito, cioè esperto, senza cedere all’invito di rientrare nella Commissione teologica: una scelta che resta più di altre discutibile, specie alla luce di quanto avrà modo di ammettere da sé circa l’effettiva possibilità di cambiare le cose. Per Küng, che aveva da poco ottenuto una cattedra a Tubinga e pubblicato, oltre la tesi dottorale, Strutture della Chiesa e Concilio e riunificazione (1960), sembrò non essere scattata quella «veracità» che avrebbe predicato della Chiesa, andando a ricoprire una posizione esterna e non senza conseguenze per i successivi rapporti tra la teologia e la Chiesa, a maggior ragione nel post-concilio.

Si può fare l’esperienza, dunque, di ricostruire e interpretare perfino in questo modo la sua indubbia partecipazione attiva al Vaticano II, che a volte ha sfiorato, però, come noterà uno del calibro di Yves Congar, la creazione di un para-concilio dei teologi. Impressione, questa, che Küng smentirà solo in parte grazie alla pubblicazione del suo La Chiesa (1967), dal quale emergerà un’ecclesiologia biblica e fondata sui carismi, che non riuscirà a evitare del tutto una visione compartimentale della Chiesa.

Ma il successo del teologo svizzero si lega all’uscita di Infallibile? Una domanda (1970), che porrà questioni fondamentali per la comprensione del dogma dell’infallibilità papale e gli varrà l’apertura di un procedimento disciplinare che nove anni dopo produrrà la revoca del mandato di insegnamento della teologia a nome della Chiesa cattolica. Un procedimento contro il quale si schiererà la stessa università di Tubinga: che gli consentirà di mantenere lo status di professore. Da allora, per il teologo Küng si schiudono gli orizzonti sconfinati di una teologia interessata all’altro, attraverso grandiose e leggibilissime esposizioni della fede cristiana (Essere cristiani, 1974), ambiziosi progetti etici (Progetto per un’etica mondiale. Una morale ecumenica per la sopravvivenza umana, 1991), il dialogo tra le religioni, specie i tre monoteismi (Ebraismo, 1991; Cristianesimo, 1994; Islam, 2004).

Con la morte di Hans Küng, sarà interessante seguire le prese di posizione ecclesiali. Perché non si può dire ancora quale posto avrà avuto rispetto alla Chiesa, ma soprattutto rispetto alla teologia, in un momento a dir poco magmatico per la sussistenza dell’impianto intellettuale di sostegno alla fede. Con Hans Küng, non se ne va solo un uomo profondamente versato nella ricerca teologica, ma un largo frammento di storia della Chiesa e del secolo che ereditiamo. Un frammento che il pontificato di Francesco dovrà continuare in parte a smuovere e in parte a rimuovere.

 

[Una traduzione portoghese dell'articolo è stata pubblicata il 9 aprile 2021 su «Instituto Humanitas Unisinos»]