Questa riflessione nasce da anni di insegnamento e di insoddisfazione nell’uso dei libri di testo proposti alla scuola primaria. Cerco di argomentare da dove nasce questo sentimento e provo a proporre alcune idee per cambiare le cose.

Insegnare alla scuola primaria vuol dire sapersi adattare a tutte le discipline: le maestre e i maestri non sono specialisti di una disciplina, ma tuttologi e, se negli ultimi decenni è scomparso l’insegnante unico, il problema non è cambiato, perché qualsiasi insegnante può essere chiamato, da un anno all’altro, a insegnare qualsiasi disciplina. Quest’organizzazione non è problematica di per sé, anzi, può portare ad affrontare molti argomenti in modo interdisciplinare, ma ha bisogno, per funzionare, di libri di testo ben scritti. E qui si apre uno di quei problemi che impediscono alla scuola di funzionare bene: purtroppo di libri ben fatti se ne trovano pochissimi.

Perché servono libri di testo ben scritti? L’insegnante di scuola primaria, a differenza dei colleghi della secondaria, non ha una formazione in una specifica disciplina. Se è ragionevole chiedere a un insegnante di italiano, laureato in Lettere, di produrre del materiale di buon livello e adatto ai ragazzi sulla propria disciplina, non è ragionevole avere la stessa pretesa per le maestre e i maestri. Certo, molti insegnanti avranno più passione o propensione personale per una qualche materia, ma sono rarissimi quei casi in cui un insegnante ha competenze approfondite in tutte le discipline, da musica a tecnologia, da arte a matematica. E non c’è niente di male. In passato si sopperiva a questa mancanza con il «sussidiario», compendio che conteneva tutte le discipline e che l’insegnante seguiva. Il sussidiario seguiva i programmi ministeriali che erano prescrittivi e quando uscivano nuovi programmi veniva aggiornato per seguire le nuove richieste. Si integrava il percorso del sussidiario con del materiale preso da libri o riviste specialistiche. Negli ultimi vent’anni questo schema si è spezzato perché ai programmi si sono sostituite le indicazioni nazionali che non sono più prescrittive ma lasciano ampio spazio alla personalizzazione. Inoltre Internet è diventato il luogo in cui, preferenzialmente, gli insegnanti vanno alla ricerca di materiale da proporre ai ragazzi. Questi due elementi hanno creato nuove opportunità innegabilmente positive ma anche alcuni problemi che al momento sono senza soluzione.

Visto che le indicazioni non sono prescrittive, molti editori continuano a proporre lo stesso materiale degli ultimi programmi, con degli aggiornamenti di facciata: qualche paginetta per l’Invalsi, qualche paginetta di prove di realtà e poco più. Confortati dal lavorare con gli argomenti che già conoscono (e che magari sono gli stessi di quando andavano loro a scuola), gli insegnanti comprano preferenzialmente quei libri. Di chi sia la «colpa» di questa situazione (che va contro il buon senso e lo spirito delle indicazioni nazionali) è difficile da stabilire perché se chiedi agli insegnanti ti diranno che le proposte sono tutte mediamente di basso livello e molto conservative e sono sempre costretti a scegliere il «meno peggio»; se chiedi alle case editrici ti diranno che non possono permettersi di investire in progetti innovativi perché poi gli insegnanti non li comprano. Si mormora anche che il prezzo ministeriale sia un limite che spinge a non investire in esperti validi o nel comprare i diritti di libri stranieri innovativi perché l’investimento sarebbe in perdita.

Il materiale proposto non solo è spesso antiquato ma, con i vari aggiornamenti che negli anni sono stati fatti, ha perso quella organicità che aveva all’inizio: spesso non è più possibile seguire nemmeno un percorso concettualmente datato ma coerente, perché negli anni si è tolto e rimaneggiato molto, senza però pensare a un nuovo impianto, più rispondente alle indicazioni e ai bisogni della scuola di oggi.

Su Internet c’è di tutto e di più e se è possibile trovare materiale valido, spesso si trova – e si propone ai bambini – del materiale non adatto, antiquato o addirittura sbagliato.

Come uscire da questa situazione? Per esperienza so che un bravo insegnante di scuola primaria, se ha a disposizione del materiale valido, riesce a insegnare meglio e di più; non è una questione di bravura personale, ma di supportare degli insegnanti che non possono avere, per loro formazione, conoscenze e competenze specialistiche in tutte le materie. E quindi ritengo che sia urgente un investimento nel proporre libri concettualmente adeguati alle richieste delle indicazioni e ai bisogni dei ragazzi di oggi.

Come primo passo è necessario riportare le università, prime fra tutte la facoltà di Scienze della formazione con i ricercatori in didattica, a sperimentare nelle scuole e a elaborare e proporre materiale innovativo e organico. Molti ricercatori e professori, pur bravi, non giungono mai a elaborare una proposta editoriale che segua i bambini per i cinque anni di scuola primaria ed è invece quella che serve di più, perché è nel lavoro quotidiano che i bambini apprendono e interiorizzano più profondamente: avere ogni giorno del materiale ben pensato, ben fatto, che segue e guida lo sviluppo cognitivo dei bambini e che abbia una forma grafico-editoriale bella, pulita e non caotica (non avete idea di quanto siano caotici e confusionari molti libri a partire dall’impaginazione) fa la differenza: da lontano non si vede, sembra che un libro valga l’altro ma non è affatto così.

Oltre a questo è necessario che la scuola ripensi a se stessa e alle cose che davvero sono importanti per l’apprendimento e l’educazione delle nuove generazioni; è necessario buttare via tutti i riti vuoti che a volte gli insegnanti, come involontari lemmings, seguono: dai programmi che non esistono più ma che ancora molti continuano a dire di seguire, alle convinzioni su cosa debba essere fatto a una determinata età o in un determinato periodo dell’anno perché «si è sempre fatto così». È inoltre di fondamentale importanza che, pur senza tornare ai programmi prescrittivi, si pubblichino sempre di più libri pensati non per perpetuare i riti di cui sopra, ma per preparare i nuovi cittadini alle sfide del XXI secolo. È un lavoro impegnativo ma ha di buono che non costa tanto: è più un problema organizzativo che di fondi. Ed è arrivato il momento di cominciare.