Il 22 dicembre, Joe Biden ha annunciato di avere scelto per il ruolo di segretario all’Educazione nella sua squadra di governo Miguel Angel Cardona.

La decisione appare significativa sotto molti punti di vista, in primo luogo proprio per il profilo scelto a occupare quella posizione. Classe 1975, nato nel Connecticut da famiglia portoricana, madrelingua spagnolo che ha imparato l’inglese lungo il percorso scolastico fino a divenire perfettamente bilingue, Miguel Cardona è innanzi tutto un prodotto della scuola e dell’università pubblica statunitense, dove ha studiato fino a conseguire nel 2011 il titolo (curiosamente equivalente a quello della moglie di Biden, Jill, che ha suscitato polemiche piuttosto scomposte nella pubblicistica conservatrice) di Doctor of Education, e dove ha lavorato praticamente a tutti i livelli, da quello di insegnante di scuola elementare a quello di dirigente scolastico, prima di diventare nel 2019 commissario all’Educazione nell’amministrazione del suo Stato di provenienza. Tanto nei suoi studi, quanto nella sua attività di gestione delle istituzioni scolastiche, poi, Cardona si è occupato a più riprese del ruolo di inclusione sociale dell’esperienza educativa per le minoranze e in particolare per i non anglofoni.

In primo luogo, gli osservatori politici d’oltreoceano si sono soffermati sulla sfida immediata che il nuovo segretario sarà chiamato ad affrontare da qui a pochi giorni, cioè il coordinamento dell’attività scolastica nel corso della pandemia. Dopo mesi in cui ogni Stato e spesso ogni distretto e istituto scolastico si sono trovati abbandonati a se stessi da un atteggiamento del governo federale che a lungo ha sottovalutato la situazione, arriva ai vertici della politica scolastica il commissario del primo Stato che ha garantito a tutti gli studenti della fascia di età cosiddetta K-12 l’uso di computer portatili, investendo con convinzione sul miglior uso possibile della didattica a distanza e facendo leva sull’iniziativa dei docenti secondo pratiche che hanno convinto gli addetti ai lavori coinvolti. Per quanto le scelte definitive sul terreno restino agli Stati, l’autorevolezza di Cardona potranno offrirgli un significativo potere di indirizzo.

Con la sua nomina, più in generale, Biden ha voluto lanciare un segnale di coinvolgimento al personale delle scuole pubbliche, che con una durissima ondata di proteste contro le politiche finanziarie restrittive verso i servizi educativi messe in opera da anni dagli Stati repubblicani con l’aperto sostegno dell’amministrazione Trump ha rappresentato un importante volano di mobilitazione dell’opinione pubblica in favore della rimonta democratica prima al mid-term e poi alle elezioni presidenziali appena svolte.

Il successo di scioperi e manifestazioni, del resto, ha chiarito l’importanza che lo stato di salute dell’istruzione pubblica mantiene tra le priorità degli elettori, tanto che nella sua campagna Biden ha fatto della questione un tratto distintivo rispetto all’avversario. I tratti caratterizzanti della sua proposta riguardano, tra l’altro:

  • il rinnovato investimento sul ruolo sociale e civico della scuola per il recupero e la promozione di contesti difficili e marginali;
  • il ritorno dell’interpretazione della school choice come strumento per il miglioramento delle opportunità per chi proviene da aree svantaggiate, ad esempio col rafforzamento della tendenza storica delle famiglie della piccola e media borghesia nera all’iscrizione alle charter schools, scuole sperimentali a finanziamento pubblico libere dai condizionamenti amministrativi ed economici dei singoli distretti;
  • il potenziamento dei piani di alleggerimento del debito studentesco accumulato negli anni della «bolla» speculativa, piani che l’amministrazione precedente aveva di fatto sabotato;
  • la riduzione dei costi per la frequenza dei college pubblici fino ad arrivare alla gratuità dei tuition payments per ragazzi e ragazze provenienti dalla classe media a rischio di impoverimento.

Per portare avanti questo programma, essendo ben conscio del ruolo primario delle amministrazioni statali ancora in maggioranza repubblicane per la realizzazione delle politiche educative, Biden si è affidato a un profondo conoscitore dei meccanismi di gestione di scuole e università pubbliche, e forse per questo capace di mettere a punto i dispositivi giusti per rendere efficaci gli incentivi e i disincentivi di bilancio con cui il governo federale può influire sulle scelte a livello locale.

Inoltre, per il suo passato e le convinzioni che esprime, Cardona rappresenta il miglior contraltare a colei che lo ha preceduto al suo ufficio, Betsy DeVos. Tra le figure dell’amministrazione Trump più connotate in senso conservatore, da tempo portavoce degli interessi delle scuole confessionali, DeVos ha compiuto per quattro anni una politica di consapevole riorientamento delle risorse federali per l’istruzione dal settore pubblico al privato, promuovendo una politica di sgravi fiscali per le famiglie che ricorrevano alle scuole private, ritoccando al ribasso i requisiti di rispetto dell’equità sociale, dei diritti civili e della libertà d’insegnamento per l’accesso degli istituti scolastici alle risorse pubbliche, e cercando a più riprese di ridurre al minimo le tutele economiche e negli standard di qualità formativa degli studenti titolari di prestiti universitari. La scelta di mettere un esperto educatore professionale da anni impegnato nella promozione dell’equità delle opportunità di studio e nella sostenibilità dei costi privati di un’educazione di qualità segna una presa di distanze, che difficilmente poteva essere più eloquente, da colei che è stata accusata non solo dalla stampa più radicalmente progressista di aver trasformato il dipartimento custode dei valori civici della comunità nazionale americana in una sorta di comitato d’affari.

Al di là dell’inversione di tendenza con la precedente amministrazione, sicuramente necessaria ma in certo modo ovvia, vista la contrapposizione polare tra la proposta politica di Biden e del predecessore Trump, la nomina di Cardona sembra segnare un cambio di passo anche rispetto alle linee guida della politica scolastica e universitaria che hanno caratterizzato la cultura democratica in tempi recenti. I primi anni dell’amministrazione Obama, infatti, erano stati caratterizzati dalla presenza in qualità di commissario all’Educazione di Arne Duncan, che dalla sua esperienza di sovrintendente delle scuole pubbliche di Chicago aveva portato a Washington una tendenza a omologare gli standard di qualità e a stabilire i livelli di investimento negli istituti e di salario dei docenti sulla base degli standardized tests, in una sorta di continuità con quanto proposto negli anni di George W. Bush per garantire il sostegno federale a scuole di miglior rendimento piuttosto che a quelle operanti in condizioni più difficili.

La sostituzione di Duncan con John King Jr., all’inizio del 2016, aveva coinciso con una prima, parziale revisione di alcuni aspetti di politica educativa, con il primo (e agli occhi di oggi ancora timido) programma di loan forgiveness per gli studenti di college, e con un maggiore coinvolgimento delle autorità locali e delle rappresentanze degli insegnanti nell’elaborazione della legislazione educativa. Questo primo smottamento aveva ragioni elettorali, perché in vista delle successive presidenziali iniziava ad accogliere le istanze di tradizionali bacini di consenso democratici, la docenza scolastica e gli studenti universitari, anche di fronte al crescente successo che in tali settori mostrava la campagna radicale di Bernie Sanders, incentrata su un rilancio in ultima analisi irrealistico, ma senz’altro suggestivo, dell’investimento pubblico sull’equità nell’istruzione primaria e secondaria, sulla gratuità degli studi universitari e sul sostegno al debito studentesco.

La sua spinta in questo senso, al di là di tutte le critiche che sono state avanzate sulla realizzabilità dei suoi ambiziosi progetti, ha prodotto il risultato di rimettere al centro del dibattito democratico il tema della sostenibilità dell’accesso a tutti i livelli di studio, e ha portato i candidati rivali, prima Hillary Clinton e poi con ancora maggiore convinzione Biden nel 2020, a elaborare una piattaforma programmatica che accettava pienamente di affrontare il problema invece di concentrare l’azione di incentivo e disincentivo del bilancio federale soltanto sulla selezione e sulla certificazione della qualità, con tutte le distorsioni a favore delle realtà già privilegiate che essa spesso aveva comportato.

La nomina di Cardona conferma che la strada in questa direzione dall’amministrazione Biden è ormai intrapresa, tanto più dopo che, a partire dallo scorso anno, la pandemia di Covid-19 ha messo a nudo in modo ancora più evidente gli enormi problemi di equità del sistema educativo statunitense e la necessità politica di intervenire su squilibri che una società che si vuole democratica non può sopportare. Un primo detonatore del dibattito che sta mettendo in discussione la fondatezza dei capisaldi «meritocratici» su cui lo scarso intervento di omologazione nell’accesso alle risorse per gli istituti d’istruzione era stato giustificato soprattutto negli ultimi venti-trent’anni è stata, nella tarda primavera del 2020, la diffusa scelta di non utilizzare i test Sat e Act per l’ammissione a numerosi college, apparentemente per motivi tecnici dovuti all’agibilità in sicurezza delle prove d’esame ma in realtà nell’ambito di una più generale riflessione sulla sostenibilità di tali dispositivi di selezione di fronte alle conseguenze sociali dell’epidemia globale. Ora resta da valutare fino a che punto tali premesse condurranno a una revisione coerente delle politiche scolastiche e universitarie in un sistema decisionale così complesso e ricco di contropoteri e veto-players come quello degli Stati Uniti, e soprattutto se, come accaduto per la precedente ondata «credenzialistica» degli standard di qualità, dagli Usa partirà per il resto del mondo un generale ripensamento dei paradigmi dell’istruzione e del suo ruolo sociale.