La resa delle "camicie rosse". Il 10 di aprile alle 15, a Bangkok, la radio del movimento delle camicie rosse (UDD), che il mio tassista ascoltava con grande attenzione, stava trasmettendo un drammatico resoconto sull’intervento dei carri armati dell’esercito: sparavano sulla folla delle camice rosse, nella zona vicino al Monumento della Democrazia.Sceso dal taxi nella zona dei grandi centri commerciali (anche questa occupata dalle camicie rosse) raccoglievo un volantino, distribuito agli stranieri, in cui si chiedeva di informare i rispettivi governi della violazione dei diritti umani, praticata dall’esercito thailandese. Piuttosto scosso dalle notizie della radio, registravo che in quella parte della città tutto era molto tranquillo. Più tardi, verificai che la notizia della strage fatta dai carri armati era priva di fondamento. Gli scontri, tra manifestanti ed esercito, con l’uso di granate e fucili da guerra (da ambo le parti) sarebbero iniziati dopo le 19:30. Come da copione, disinformazione e drammatizzazione dominavano il campo. Unica certezza, il giorno dopo, quella drammatica dei 21 poi diventati 27 morti e dei circa 800 feriti. Il bilancio finale, dopo lo scioglimento della manifestazione del 19 maggio, è stato di 85 morti e quasi 2000 feriti, senza contare i 36 edifici dati alle fiamme.

Viene naturale chiedersi se le violenze fossero evitabili. L’UDD, presentatosi come un movimento non violento a tutela degli strati più indigenti della popolazione, aveva conquistato ampie simpatie tra i bangkokiani: quando, però, è risultato evidente che ampie erano le sue responsabilità nello scontro armato del 10 aprile, quel consenso si è trasformato in aperto dissenso. Va ricordato che nell’aprile del 2009 l’esercito aveva sciolto una manifestazione analoga delle camicie rosse senza uccidere nessuno dei manifestanti, ma nessuna delle camicie rosse, in quella occasione, aveva usato lanciagranate e fucili da guerra contro l’esercito. La violenza, inoltre, era inevitabile perché la richiesta dell’UDD non era negoziabile e non era articolata. I leader del movimento pretendevano lo scioglimento immediato del Parlamento e nuove elezioni, senza richieste a favore dei loro rappresentati. Un gioco a somma zero sapendo benissimo che l’esercito, tradizionale arbitro della vita politica thailandese, non si sarebbe schierato dalla loro parte e tantomeno da quella del loro leader Thaksin Shinawatra, costretto a lasciare l’incarico di Primo ministro, dopo il colpo di stato incruento dei militari, del 19 settembre 2006.

Evidentemente i calcoli fatti sulla debolezza dell’attuale governo erano sbagliati ed assenti le valutazioni sul come utilizzare il sostegno e la simpatia dei bangkokiani. Ma i morti ed i feriti, da ambo le parti, hanno lasciato profonde ferite e le aspettative frustrate delle camicie rosse, a cui era stata garantita la vittoria, prevedibilmente porteranno a nuove violenze. Il governo, rafforzato dal consenso di chi (la maggioranza) voleva tornare alla normale vita cittadina, sta conducendo una ampia campagna di normalizzazione (arresto dei leader che hanno violato la legge, valutazione dei casi di terrorismo, sostituzione dei poliziotti ed amministratori pubblici responsabili di non aver contrastato le azioni illegali delle camicie rosse) e sta prevedendo una forte iniziativa economica per migliorare le condizioni di vita dei cittadini più svantaggiati. Se queste iniziative avranno successo, è  prevedibile che la reazione violenta delle camicie rosse venga contenuta, altrimenti, entro un anno il conflitto riprenderà con un più alto livello di scontro.