Da quando si registrò la prima crisi fiscale comunitaria sono trascorsi quarant’anni e il Trattato di Lisbona ha mantenuto il principio secondo cui il bilancio «è finanziato integralmente tramite risorse proprie» e «si dota» di tali risorse, usando così un’espressione non esortativa ma comminatoria secondo cui l’Unione deve dotarsi «dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche». 

Il potere impositivo dell’Unione europea non è dunque stato messo in discussione e il Consiglio ha il potere «di istituire nuove risorse» che possono essere sia una quota di risorse nazionali al di là dell’Iva sia delle imposte direttamente percepite, come una web tax o una estensione della categoria dei dazi alla border carbon adjustment.

Il Movimento europeo ha avanzato proposte su una serie di risorse fiscali destinate a produrre nei prossimi anni entrate pari ad almeno l’1% del Pil globale dell’Unione europea a trattato costante, in base al principio secondo il quale il potere di imposizione europeo dovrebbe: garantire che il carico fiscale sull’insieme dei cittadini rimanga globalmente invariato fra imposte nazionali e imposte europee, introducendo elementi di crescente progressività; consentire all’Unione di garantire «beni comuni» che non possono essere assicurati dagli Stati ciascuno per sé; colpire con le imposte «mali comuni» come l’elusione fiscale delle imprese multinazionali, che sottraggono centinaia di miliardi all’anno usando le opportunità offerte da regimi fiscali disarmonici, le imposte sui giganti del web, le imposte attualmente irrisorie sui giochi d’azzardo, la lotta al tabagismo e all’alcolismo, la lotta al cambiamento climatico.

Nel caso di imposte direttamente percepite dall’Unione europea senza passare dai bilanci nazionali si dovrà naturalmente precisare attraverso quali procedure la Commissione europea si farebbe carico dell’accertamento dell’imposta e della sua riscossione (che potrebbe tuttavia avvenire usando gli Stati membri come una agenzia delle entrate, così come avviene con i dazi doganali e i prelievi agricoli alle frontiere esterne dell’Unione europea) e quale sarebbe il meccanismo di enforcement nei confronti di eventuali inadempienti.

Come nel 1980, l’esercizio impositivo dell’Unione appare la soluzione ottimale per ridurre i contributi nazionali e accrescere le entrate con risorse fresche, necessarie per realizzare la nuova agenda politica europea e le priorità legate allo European Green Deal e alla crisi economica e sociale che deriverà dall’emergenza sanitaria.

Sempre come nel 1980, l’Unione ha bisogno di prestiti e mutui per promuovere in modo efficace investimenti sociali di lunga durata e la convergenza delle economie nazionali, sapendo che la simmetria dell’epidemia sarà sostituita da una insostenibile asimmetria fra gli Stati, fra le regioni e fra le classi sociali.

Gli investitori acquisteranno questi strumenti comuni di debito solo se i mezzi per rimborsarli non proverranno dal contributo volontario dei Paesi membri (perché aumenterebbe il loro debito) ma da un bilancio europeo forte finanziato da flussi regolari, e cioè da imposte europee per dare credibilità adeguata a questa misura straordinaria di crescita sostenibile.

Se si agirà seguendo quest’approccio si potrà uscire dal punto morto (deadlock) del negoziato sul Quadro finanziario pluriennale, creando un sistema destinato a sostituire progressivamente i contributi nazionali e il conflitto permanente fra contributori netti e beneficiari, e introducendo una capacità di indebitamento comune garantita dal bilancio comune.

In questo spirito, il Parlamento europeo dovrebbe chiedere alla Commissione von der Leyen di proporre un nuovo Quadro finanziario pluriennale, che dovrebbe risultare fondato sulla graduale introduzione di nuove risorse proprie come la web tax attraverso una direttiva per tassare i fatturati dei giganti multinazionali avviando un dialogo all’interno dell’Ocse, la Border Carbon Adjustement che potrebbe produrre inizialmente risorse per 25 miliardi all’anno e la lotta all’elusione fiscale che frutta almeno seicento miliardi all’anno oltre a quelle che la Commissione Juncker aveva proposto (Ccctb, Eu Ets e contributi basati sulla quantità di imballaggi in plastica non riciclati). Oltre a prevedere una revisione delle spese per aprire la via a un piano di ricostruzione dopo la pandemia e che includa una capacità di indebitamento comune per tutti i ventisette Paesi membri, discutendo questa proposta con i governi italiano, portoghese e rumeno che sono stati incaricati di proporre al Consiglio europeo un’ipotesi di compromesso.

Naturalmente, nessuna imposta europea potrà a medio termine essere decisa senza legittimità democratica e senza risolvere la crisi di fiducia fra l’Unione e i suoi cittadini, offrendo a tutti gli europei una nuova prospettiva, e senza un progresso politico e democratico decisivo.

In questo quadro si colloca la questione del trasferimento di competenze dagli Stati all’Unione nella logica di una sovranità condivisa in settori in cui gli Stati detengono competenze esclusive come la politica industriale, ivi compresa l’agenda digitale e il sistema delle reti a livello europeo di fronte alla sfida del 5G e ora sottomesse allo stress degli effetti dell’emergenza sanitaria dello smart working o la sicurezza esterna e difesa o la protezione civile o gran parte delle competenze sulla salute o la cooperazione amministrativa e l’amministrazione europea «aperta, efficace e indipendente» a cui il Trattato di Lisbona ha dedicato i nuovi articoli 197 e 298 Tfue che dovrebbe essere rafforzata per semplificare gli apparati pubblici in un sistema multilivello e che devono essere letti alla luce dell’articolo 41 della Carta dei diritti sul «diritto ad una buona amministrazione»o in settori in cui l’Unione dispone di alcune competenze condivise come le politiche relative al controllo delle frontiere, all’asilo e all’immigrazione  la politica sociale e l’occupazione (in particolare nella lotta alle diseguaglianze e nella centralità del lavoro, nella formazione professionale, nella sicurezza sociale, nella protezione contro gli incidenti e le malattie professionali, nell’igiene del lavoro e nel diritto sindacale dove l’Unione non può armonizzare i sistemi nazionali), la ricerca, lo sviluppo tecnologico e lo spazio o la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario dove il trattato pone dei limiti all’azione dell’Unione; anche se, di fatto, i singoli Stati hanno perso la loro sovranità nazionale.

Il tema delle competenze inadeguate dell’Unione è tornato di grande e drammatica attualità nell’attuale crisi sanitaria, che ha mostrato l’assenza di un coordinamento europeo, la mancanza di stock di medicinali e attrezzature sanitarie comuni e l’urgenza di comuni ricerche per prevenire e combattere epidemie e pandemie.

Tutto ciò conferma l’esigenza di riaprire al più presto e durante questa legislatura il cantiere dell’Unione per una riforma del sistema europeo – che non potrà che essere realizzata secondo un modello federale – al fine di creare le condizioni di una vera democrazia europea con un governo dotato di poteri limitati ma reali che risponda al Parlamento europeo e di attribuire alla dimensione sovranazionale quei compiti che non possono essere svolti efficacemente dagli Stati nazionali.

Una riforma di quest’ampiezza non può essere realizzata attraverso la procedura della Convenzione europea dell’art. 48.4, che è vincolata a un negoziato intergovernativo e all’accordo unanime dei governi.

Poiché le decisioni concernenti la dimensione democratica e lo stato di diritto, la ripartizione delle competenze e il bilancio e cioè quelle di carattere costituzionale riguardano principalmente il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali, la via migliore – rispettosa della democrazia rappresentativa – sarebbe la convocazione di «assise interparlamentari» durante la presidenza tedesca fra il 1° luglio e il 31 dicembre 2020.

Le assise dovranno essere chiamate a precisare il cammino costituente che dovrà essere intrapreso poi dal Parlamento europeo in vista delle elezioni europee del 2024, aprendo la via al federalismo europeo come soluzione permanente per uscire dalla paralisi del metodo intergovernativo, rafforzare la democrazia europea e lo stato di diritto. recuperare sovranità tutti insieme, partecipare al governo della globalizzazione ed evitare lo scioglimento dell’Unione europea.

Al termine di questo cammino la parola dovrà tornare ai cittadini, che potranno esprimersi sul contenuto della riforma del sistema europeo attraverso un unico referendum confermativo.

In questo spirito, le assise dovranno essere accompagnate da una conferenza europea delle associazioni rappresentative e della società civile a livello europeo come strumento e canale di democrazia partecipativa nel quadro di un dialogo aperto e trasparente con le istituzioni europee e nazionali.