Domani, 12 febbraio, il Senato voterà sulla richiesta, avanzata dal Tribunale dei Ministri di Catania, di autorizzazione a procedere nei riguardi dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, per il caso della nave Gregoretti. Lo scorso 20 gennaio, la Giunta delle immunità aveva bocciato la relazione del presidente Gasparri, secondo cui l’autorizzazione dovrebbe essere negata.Al momento del voto finale sulla relazione, esponenti della maggioranza avevano abbandonato la Giunta per protesta e, pertanto, «chi avrebbe dovuto dire sì [...] non ha partecipato e chi doveva dire no [...] alla fine ha detto sì». A seguito di tale situazione, in forza di quanto disposto dal regolamento del Senato, sarà uno dei senatori che hanno votato contro la relazione di Gasparri sul caso Gregoretti – dunque, paradossalmente, un leghista – a riferire in Assemblea le conclusioni della Giunta nel senso della processabilità di Salvini. A quel punto, se almeno venti senatori non formuleranno «proposte in difformità dalle conclusioni della Giunta» cioè «contro» l’autorizzazione a procedere, non si andrà alla votazione, «intendendosi senz'altro approvate le conclusioni della Giunta»; invece, se venti senatori presenteranno proposte in difformità a quanto deciso da quest’ultima, allora ci sarà un voto, palese e nominale.

Ci si aspetta che l’ex ministro dell’Interno prenda la parola in Assemblea, ribadendo il contenuto della memoria presentata alla Giunta e, forse, anticipando quella che i giornali hanno riportato come sua linea difensiva, qualora fosse sottoposto a processo. In sintesi, Salvini sosterrà che lo sbarco dei migranti dalla nave Gregoretti fu rallentato, da un lato, a causa delle trattative per la loro redistribuzione; dall’altro lato, per gli accertamenti necessari a seguito delle notizie avute dal governo tedesco circa la pericolosità di tre persone a bordo.

Quanto al primo punto, il tribunale dei Ministri si è già espresso: l’attuazione della volontà politica di coinvolgere altri Paesi nell’accoglienza non può «ridurre la portata degli obblighi degli Stati di garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco dei migranti in un luogo sicuro» (Place of safety, Pos) trattandosi di obblighi che derivano da convenzioni internazionali; inoltre, l’obiettivo «politico» di Salvini – la redistribuzione presso altri Stati – poteva essere perseguito mediante condotte diverse e rispettose della legge. Quanto al secondo profilo – la presenza a bordo di tre persone segnalate dal governo tedesco – del quale peraltro non c’è traccia nella memoria fornita alla Giunta, va osservato che, anche in questo caso, in forza delle convenzioni internazionali cui si è accennato, il Viminale non avrebbe potuto comunque interdire acque e porti italiani, essendovi vite umane in pericolo su un natante in situazione di distress: i poteri del ministro dell’Interno inerenti alla pubblica sicurezza (l. n. 121/1981) avrebbero potuto essere esercitati dopo lo sbarco delle persone salvate, mediante attività da compiersi a terra. In ogni caso, l’interesse all’ordine e alla sicurezza pubblica va contemperato con i diritti fondamentali degli individui.

Forse Salvini sottolineerà la circostanza che la Gregoretti prestò soccorso all’imbarcazione in pericolo a seguito della impossibilità di intervento di navi maltesi, che ciò testimonia la volontà del ministro stesso di mettere le persone al sicuro e che pure la nave ove esse hanno ricevuto assistenza può ritenersi Place of safety. Al riguardo, è vero che può essere considerato un Pos anche una nave (o, ad esempio, una piattaforma in mezzo al mare) su cui i naufraghi siano soccorsi e accolti in attesa di una successiva destinazione: tuttavia, nella Risoluzione MSC.167(78) dell’International Maritime Organization del 2004 (§6.13) si evidenzia che una barca non può essere reputata come Pos se non in via temporanea e in attesa di una alternativa più sicura e duratura.

Quindi, soccorso e assistenza a bordo non costituiscono completo adempimento degli obblighi gravanti sullo Stato che svolge le operazioni di salvataggio: queste ultime si concludono esclusivamente con lo sbarco a terra, in un luogo ove i sopravvissuti non si trovino più esposti a un rischio per la loro vita, possano accedere ad alcuni beni e servizi fondamentali (cibo e acqua, cure mediche ecc.), nonché esercitare diritti quali quello di chiedere asilo, e possano altresì raggiungere la destinazione finale o la più vicina (§6.12 della citata Risoluzione).

Infine, l’ex ministro Salvini farà probabilmente leva sull’argomento che costituisce il cardine della propria memoria difensiva: tutti gli esponenti del governo erano consapevoli dell’azione che egli stava compiendo, e dunque concordavano con lui. Ciò attesterebbe che tale azione era volta ad attuare una linea politica condivisa in tema di immigrazione. Tuttavia, per «assolvere» il titolare di un dicastero e, quindi, reputare la sua condotta giustificata dal perseguimento di un «preminente interesse pubblico», non basta che egli abbia posto in essere un’azione «politica», cioè né personale né partitica, ma rientrante nell’attività di governo e coerente con essa (anche in quanto non osteggiata dal presidente del Consiglio, come nel caso Gregoretti). La preminenza va «congruamente motivata», valutando in concreto se l’interesse cui l’azione del ministro era mirata – cioè il coinvolgimento di altri Paesi nella redistribuzione dei migranti, oltre alla tutela della sicurezza pubblica – giustificasse la privazione di libertà fondamentali delle persone a bordo della nave di soccorso.

Peraltro, questo profilo della difesa di Salvini rischia di trasformarsi in un atto di auto-accusa relativamente alla vicenda per la quale prossimamente il Senato dovrà di nuovo valutare se concedere l’autorizzazione a procedere contro di lui: la questione della nave Open Arms. Infatti, nel caso Gregoretti si afferma che il presidente del Consiglio non ha assunto una posizione di distanza o di contrarietà rispetto alle decisioni del ministro e ciò dimostrerebbe che il titolare del Viminale ha agito in vista di un interesse superiore: ma ciò dimostrerebbe pure che nel caso Open Arms, ove Conte ha invece espresso chiaramente il proprio dissenso verso la condotta di Salvini, quest’ultimo ha indubbiamente operato in vista di un «interesse partitico e non governativo» e, pertanto, deve essere senz’altro processato.