I discorsi sulla «crisi» della democrazia, abbondanti nella letteratura scientifica e giornalistica del nuovo millennio, aggiungono ambiguità alla già densa condizione di incertezza che caratterizza i processi politici in corso in tutte le democrazie costituzionali. Ha scritto David Runciman che «democrazia» e «crisi» sono difficilmente separabili, e le storie di successo e quelle di difficoltà sono inevitabilmente intrecciate. Il processo di democratizzazione è cominciato insieme alla dichiarazione di «crisi», anche se è stato il terremoto degli anni Venti e Trenta del Novecento a provocare l’emergenza più drammatica, fatale al regime costituzionale. Questo, oggi, non sembra essere ancora il nostro caso.Dunque, come spiegare il proliferare di scenari catastrofici? Paventando morti e agonie della democrazia, questi scenari presumono che la democrazia si manifesti in una e una forma soltanto: quella costruita dai PaesiLa democrazia si manifesta in una e una forma soltanto: quella costruita dai Paesi occidentali dopo il 1945. La ragione è comprensibile, perché quella data segna uno spartiacque netto tra un prima di dittature monopartitiche e un dopo di democrazie pluripartitiche occidentali dopo il 1945. La ragione è comprensibile, perché quella data segna uno spartiacque netto tra un prima di dittature monopartitiche e un dopo di democrazie pluripartitiche: le une associate a guerra e povertà, le altre associate a crescita economica e libertà.Il rischio di questo assunto (che non è infondato) è di congelare in una rappresentazione nostalgica un impressionante corpus di conquiste ardue e mai definitive che hanno segnato i cosiddetti Trenta gloriosi.

Le narrazioni apocalittiche sul presente sono spesso ispirate da un immaginario passato, oggetto di un misto di autocompiacimento e nostalgia – una narrazione poco convincente. Per esempio, la lamentazione giustificata per la limitazione dei diritti civili nei governi populisti contemporanei sembra suggerire che i nostri Paesi abbiano goduto di tali diritti dal momento in cui hanno adottato Costituzioni democratiche. In realtà nelle nostre democrazie, quella italiana per esempio, i diritti civili sono stati proclamati molto prima che i loro cittadini iniziassero a goderne. Per diversi decenni la nostra democrazia è stata tutt’altro che aperta ad accettare, per esempio, il diritto al divorzio, all’aborto, alle pari opportunità di carriera politica e pubblica rispetto al genere o alla razza, il diritto al matrimonio gay e all’equo trattamento delle minoranze. Ero un’adolescente quando il diritto al divorzio fu sancito per legge e un referendum bloccò il tentativo di abrogarlo. Ero già adulta quando fu approvata la legge che consentiva alle donne di scegliere una maternità responsabile. E ancora oggi non ho visto dare piena attuazione ad alcuni diritti proclamati nella Costituzione, per esempio quelli relativi alle pari opportunità delle donne di partecipazione alla vita politica o al pluralismo religioso e alla laicità dello Stato.

Nell’ipostatizzare un modello rischiamo di compromettere la nostra capacità di comprensione storica degli strumenti istituzionali e delle realizzazioni della democrazia. La quale rischia così di diventare un’ideologia ossificata e noi rischiamo di perdere il senso del suo carattere creativo e aperto al rischio, del fatto che essa non ha soltanto una storia ma è anche storia – è un processo che include sia le sue trasformazioni che le sfide lanciate dai suoi critici e dalle quali sono spesso venute quelle trasformazioni. Come ha scritto Norberto Bobbio ne Il futuro della democrazia, per «un regime democratico l’essere in trasformazione è il suo stato naturale».Ciò che lamentiamo come «crisi» è dunque il declino di uno specifico modo d’essere della democrazia rappresentativa: quello fondato su partiti strutturati nelle istituzioni e capaci di organizzare la partecipazione nella societàLa democrazia costituzionale basata sui partiti è stata una risposta per anni vincente all’assalto delle dittature monopartitiche congeniate per sopprimere il conflitto politico e congelare i governi. Oggi essa si trova a doversi confrontare con una nuova sfida olistica: quella di governi populisti che spesso aspirano a costituzionalizzare sé stessi e a dar vita a un regime di stampo maggioritario che, a differenza del fascismo, non reprime le opposizioni ma le umilia con la propaganda quotidiana e la manipolazione delle informazioni: un piano che la rivoluzione informatica rende facile e alla portata di tutti. Ciò che lamentiamo come «crisi» è dunque il declino di uno specifico modo d’essere della democrazia rappresentativa: quello fondato su partiti strutturati nelle istituzioni e capaci di organizzare la partecipazione nella società, attori collettivi di consenso e di dissenso, di maggioranze di governo e di opposizione legittima.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul «il Mulino» n. 6/19, pp. 916-923, è acquistabile qui