Il candidato che spaventa i repubblicani. Era dal 1992, anno dell’ultima vittoria democratica nello Stato, ai tempi della prima elezione di Bill Clinton, che i democratici non si confrontavano nella corsa alla nomination presidenziale in Georgia. A dieci settimane dai caucus dell’Iowa – che come da tradizione aprono le primarie – dieci dei dodici candidati partecipanti al quarto dibattito in Ohio si ritrovano ai Tyler Studios di Atlanta, nel quinto dibattito televisivo diretto da Msnbc e “Washington Post”.

L’ex segretario alla Casa e allo Sviluppo urbano Julián Castro non ha infatti raggiunto i requisiti richiesti dalla Dnc, mentre hanno prematuramente abbandonato la corsa l’ex deputato texano Beto O’ Rourke, il deputato dell’Ohio Tim Ryan e l’ex giocatore di football e sindaco di Miramar Wayne Messam. Al contempo, hanno confermato la loro candidatura l’ex governatore del Massachusetts Deva Patrick e l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg, che ha già pianificato una spesa di quasi 20 milioni di dollari per registrare mezzo milione di nuovi elettori in Texas, in due Stati decisivi per la vittoria di Donald Trump (Wisconsin e Michigan) e in altri due Stati dove Trump ha prevalso di tre punti percentuali e l’alto numero di astenuti tra i potenziali elettori democratici (giovani, ispanici, afroamericani) potrebbe ribaltare il risultato in favore dei democratici.

Il cosiddetto “The Squad”, l’influente gruppo di quattro giovani deputate al primo mandato, si è spaccato sugli endorsement: Ayanna Presley ha espresso la sua preferenza per Elizabeth Warren, mentre Alexandria Ocasio-Cortez, Ilhan Omar e Rashida Tlaib hanno confermato il sostegno a Bernie Sanders. Secondo le ultime rilevazioni, il favorito, Joe Biden, perde terreno, ma continua a prevalere in Stati come il North Carolina, dove il voto afroamericano tende a premiarlo, mentre nei caucus dell’Iowa il sindaco di South Bend, Pete Buttigieg, sembra al momento davanti sia a Biden sia agli altri due candidati forti del fronte progressista, Warren e Sanders.

Le dichiarazioni dell’ambasciatore all’Unione europea Gordon Sandland sul coinvolgimento di altri rappresentanti dell’esecutivo nella delicata questione ucraina sottraggono il centro della scena al dibattito condotto da quattro giornaliste molto esperte e popolari come Rachel Maddow di Msnbc, Andrea Mitchell, conduttrice di Msnbc e caporedattrice esteri di Nbc News, Kristen Welker, corrispondente di Nbc alla Casa Bianca, e Ashley Parke, reporter alla Casa Bianca del “Washington Post”. 

Cinque dei dieci candidati siedono in Senato e inevitabilmente la prima parte del confronto si sofferma sul loro voto in vista della possibile messa in stato d’accusa del presidente Trump, il cui processo inizierebbe, in caso di voto favorevole, nei primi mesi del 2020, in concomitanza con i primi appuntamenti in calendario per le primarie democratiche.

Elizabeth Warren ha messo in risalto i reiterati comportamenti illegittimi del presidente, Amy Klobuchar ha parlato espressamente di “interessi privati messi davanti agli interessi nazionali”, Joe Biden ha espresso fiducia nelle istituzioni sulla questione dell’impeachment, mentre Bernie Sanders, pur definendo Trump il “presidente più corrotto della storia moderna”, ha sottolineato come per vincere le elezioni ci si debba concentrare sui problemi concreti della working class.

Rispetto agli altri dibattiti, i candidati sembrano accogliere l’esortazione di Barack Obama a non usare slogan troppo radicali, soprattutto sui social, perché quello statunitense è un sistema che funziona e che va migliorato attraverso riforme che non ne stravolgano la natura e gli equilibri.

In due ore di dibattito incentrato sui temi e sulle proposte di riforma, soprattutto in ambito sanitario, come già negli altri quattro dibattiti, piuttosto che su “great design” politici, non sono comunque mancati gli scontri verbali e gli attacchi.

Joe Biden, forte del suo consenso tra gli afroamericani, ha dichiarato di aver ricevuto il sostegno dell’unica donna nera eletta in Senato, dimenticandosi di avere affianco un’altra senatrice afroamericana, Kamala Harris, che non ha ovviamente risparmiato sarcasmo per la gaffe del suo collega in Senato – che intendeva riferirsi a Carol Moseley-Braun, prima donna nera eletta in Senato, in Illinois, nel 1993.

Cory Booker ha cercato di accreditarsi come portavoce del movimento per la legalizzazione della marijuana, ironizzando sulle dichiarazioni dell’ex vicepresidente che aveva definito l’erba una “gateway drug”, ossia una droga di passaggio verso le droghe pesanti: “Forse avevi fumato quando hai detto qualcosa del genere”. Amy Klobuchar ha fatto lo stesso con il movimento femminista quando, portando l’esempio della carriera di Pete Buttigieg, ha sottolineato con amarezza che nessuna donna riuscirebbe a correre per la nomination con alle spalle la sola amministrazione di una città di centomila abitanti, come South Bend. dal canto suo Pete Buttigieg, che, dopo l’exploit di Warren, è il candidato che sta vivendo insieme alla stessa Klobuchar il cosiddetto “momentum”, si è difeso bene rivendicando la sua attività di politico vicino alla sua comunità rispetto ai professionisti della politica della capitale. Rivolgendosi, poi, soprattutto all’elettorato afroamericano e alle minoranze, ha detto di aver vissuto anche lui sulla propria pelle gravi discriminazioni, da politico omosessuale del Midwest, e di essere per questo motivo in grado, più degli altri candidati, di battersi da presidente per superarle.

La piattaforma liberal e moderata del trentasettenne di South Bend, laureato in Storia e Letteratura ad Harvard con un master a Oxford e con un passato da agente dell’intelligence della Marina americana e, nel 2014, da riservista nella missione americana in Afghanistan, come dimostrano i sondaggi post-dibattito, sembra avere ancora buoni margini di crescita in termini di popolarità (+6,3% secondo Five Thirty Eight), non solo nei primi Stati coinvolti nelle primarie, dove al momento ha buone possibilità prevalere sui tre favoriti (Iowa e New Hampshire).

Pete Buttigieg sembra l’unico vero vincitore del quinto dibattito non solo per analisti e osservatori, ma anche per lo staff di Donald Trump e per il G.O.P. A poche ore dalla chiusura del dibattito, il Republican National Committee e il comitato Black Voices for Trump ha letteralmente bombardato i propri sostenitori per denunciare i problemi di criminalità e le questioni razziali di South Bend, la città di cui Buttigieg è sindaco dal 2014. Tra le performance non eccellenti di Joe Biden ed Elizabeth Warren e le posizioni radicali di Bernie Sanders, che hanno pochi margini di crescita in termini di constituency, i repubblicani iniziano a temere un candidato giovane (gli altri tre hanno già compiuto 70 anni) e nuovo, difficilmente accostabile all’establishment democratico.

E lo pensano anche gli elettori dopo il dibattito di Atlanta, che potrebbe aver definitivamente chiuso la strada a Tulsi Gabbard e Kamala Harris. La variazione percentuale di coloro che credono che Pete Buttigieg possa battere Donald Trump è del +3,3%: un democratico su due oggi pensa che il giovane sindaco omosessuale dell’Indiana, in caso di nomination, tra dodici messi possa diventare presidente.