Prove di Welfare state in Africa sub-sahariana. I sistemi di protezione sociale diretti verso le fasce più deboli della popolazione – anziani, disabili, famiglie a basso reddito – rappresentano una novità recente per la maggior parte dei paesi dell’Africa sub-sahariana. Solo negli ultimi anni le istituzioni internazionali e i donatori hanno mostrato interesse nei confronti dell’introduzione di questi sistemi, e hanno cominciato a promuoverli nella loro agenda politica: costituiranno infatti il tema del Rapporto Europeo sullo Sviluppo del 2010 – ERD 2010. I trasferimenti sociali costituiscono una fonte di reddito su cui le famiglie sanno di poter contare con certezza anche in momenti di vulnerabilità economica, come quello attuale. I governi di alcuni paesi africani, anche per effetto della pressione della comunità internazionale, hanno cominciato a introdurre alcuni tipi di trasferimenti sociali. Quelli più comuni sono diretti verso le famiglie numerose, a basso reddito o con persone disabili. Alcuni di questi trasferimenti sono condizionali, ossia concessi solo qualora la famiglia beneficiaria soddisfi alcune condizioni, quale ad esempio la frequenza scolastica dei minori. Questi tipi di trasferimenti incontrano difficoltà molto serie nell’identificazione dei destinatari: in paesi in cui i sistemi amministrativi sono poco efficienti e le dinamiche clientelari sono estremamente diffuse, è molto difficile riuscire ad accertare la condizione economica di una famiglia per determinare se questa abbia o meno il diritto di ricevere il sussidio. La discrezionalità nella distribuzione dei sussidi che ne consegue crea spesso delle forti tensioni sociali a livello locale, in particolare nelle comunità rurali. Questa è una delle ragioni per le quali recentemente è stato rivalutato anche per i paesi più poveri il potenziale ruolo dei sistemi universali, come le pensioni di anzianità.

In Africa sub-sahariana sono sette i paesi in cui gli anziani beneficiano di una pensione sociale: Botswana, Mauritius, Namibia, Lesotho, Senegal, Swaziland e Sudafrica, ma solo nei primi tre paesi il sistema è a carattere universale. Il principale vantaggio delle pensioni universali è che sono percepite dalla popolazione come qualcosa a cui tutti un giorno avranno diritto e non come un privilegio che può essere distribuito in modo arbitrario. Recentemente, anche il governo tanzaniano ha espresso l’intenzione di introdurre una pensione universale di anzianità ed ha chiesto all’organizzazione non governativa britannica HelpAge International di effettuare uno studio di fattibilità al riguardo. I risultati preliminari di questo studio mostrano che l’introduzione della pensione di anzianità ridurrebbe sensibilmente l’incidenza della povertà, dato che il 33% degli anziani vive al di sotto della linea di povertà, che è fissata in circa 35 centesimi di euro al giorno, sulla base di una stima del fabbisogno calorico e di alcuni minimi bisogni di base. Inoltre, visto che la maggior parte degli anziani vive nelle aree rurali della Tanzania, maggiormente segnate dalla povertà, il sistema pensionistico costituirebbe un modo per riequilibrare, seppure parzialmente, il divario di reddito tra le aree rurali e urbane del paese. Una pensione di anzianità permetterebbe, in particolare, di ridurre in maniera consistente il tasso di povertà per quelle famiglie che non hanno membri in età lavorativa: tra queste numerose sono quelle colpite dall’Aids, che in Tanzania colpisce circa il 7% della popolazione e in particolar modo gli adulti in giovane età. Tali famiglie sono spesso costrette a ricorrere al lavoro minorile per garantire la propria sussistenza. I bambini potrebbero quindi trarre notevoli benefici dall’introduzione della pensione, anche perché recenti studi hanno dimostrato che buona parte del trasferimento pensionistico viene speso per soddisfare le loro necessità, in particolare quando sono le nonne a riceverlo.