Il marchio, quello dei nuovi untori, ormai è impresso e sarà difficile toglierselo di dosso, ma proprio in questi momento di grande agitazione e confusione dove le sirene del populismo appaiono irresistibili, occorre tenere dritta la barra e possibilmente non abbandonare la ragione e anche il buon senso. Da tempo, tutti lo hanno imparato, i mercati finanziari non sono certo luoghi dove prevalgono razionalità e prudenza, anzi, ormai sulla materia si sono formate intere biblioteche, la fanno da padroni paura e volatilità, insieme a comportamenti ispirati ad avidità, voglia di guadagnare e poca attenzione ai destini del prossimo.
Per quanto ci si giri intorno è stato e sempre sarà così. Come anche le più classiche e antiche espressioni del pensiero liberale non hanno mai smesso di ribadire, i mercati per funzionare bene hanno bisogno di buone regole e l’ultima crisi, ormai è dato indiscutibile, non è stata una crisi dei mercati, ma delle loro regole.
Purtroppo, però, è molto più facile, ogni volta che torna la paura, come in questi giorni, dare la caccia agli untori piuttosto che occuparsi del ben più noioso,ed elettoralmente meno redditizio, lavoro che sarebbe necessario per mettere mano al cantiere delle regole.
Prendiamo il più recente oggetto della caccia: le agenzie di rating. Fa una certa impressione vedere come dieci pagine di un piccolo rapporto, redatto per Moody’s da Ross Abercromby, un trentenne inglese con laurea breve come racconta Federico Fubini sul “Corriere della Sera” di venerdì scorso, abbia travolto le borse di tutto il mondo, e più di un dubbio sul ruolo e la tempistica delle informazioni prodotte dalle agenzie è legittimo. Ma è altrettanto legittimo e doveroso non nascondersi dietro il classico, e comodo in questo caso, dito del riversare tutte le colpe sulla diffusione di un orientamento preoccupato sui futuri rischi di contagio. In fin dei conti, l’accusa maggiore finora rivolta alle agenzie di rating è proprio l’esatto contrario, e cioè non aver visto per tempo che un’immensa quantità di titoli circolanti sui mercati non valeva assolutamente niente (clamorosa l’ottimistica valutazione di Lheman pochi giorni prima del default). E se uno dei ben noti problemi delle agenzie è quello del prendere soldi dalle stesse società che poi valutano, nell’ultimo caso, a quanto dicono i giornali, si è trattato di un report non esplicitamente richiesto e quindi, a meno di clamorosi quanto improbabili complotti, più indipendente.
Si può discutere, ed è giusto farlo, a lungo dei contenuti del report, in alcuni passaggi secondo molti decisamente sbrigativo, ma condannare definitivamente all’inferno il rating sarebbe un brutto servizio per la trasparenza. Nelle difficili condizioni che stiamo vivendo, non si tratta di ridurre il flusso di dati e informazioni disponibili, ma intervenire, appunto con le regole, sulle loro fonti di produzione affinché queste siano le più corrette possibili.
Da tempo, e numerose iniziative nei singoli ordinamenti e sul piano comunitario lo testimoniano, si confrontano molte proposte di disciplina in materia, ad esempio la definizione di seri vincoli per prevenire i conflitti di interesse, la pubblicazione dei modelli di rating e delle metodologie adottate per comporli, i presidi ad una trasparente governance delle agenzie, e la creazione di un efficace sistema di controlli pubblici.
Si tratta poi, di aprire un mercato caratterizzato dalla ben nota presenza dominante di pochi grandi operatori statunitensi; problema, questo, da tempo conosciuto, ma ripreso la settimana scorsa da Michel Barnier commissario Europeo al Mercato interno, il quale colpito dal, testuali parole, “brutale abbassamento del rating greco” da parte di Standard and Poor’, ha proposto la creazione di una nuova agenzia europea indipendente come alternativa al predominio statunitense nel rating.
Insomma, le idee e le proposte non mancano per una ragionevole riforma, ed è di qui che bisogna partire per creare una regolamentazione possibilmente condivisa sul piano internazionale e presidiata da una autorità in grado di applicarla con severità. Il resto e cioè gli strali contro i cattivi signori del rating, con conseguente invocazione di esecuzioni sommarie, non serve a niente. D’altronde, è fin troppo banale ricordare che nella storia tutte le epidemie sono state sconfitte dalla faticosa e coraggiosa ricerca scientifica e dalla scrupolosa applicazione dei suoi risultati. Tutto il resto era pura superstizione.