Per un pugno di voti. "L'anno del cambiamento": David Cameron ha rievocato così le parole di Barack Obama nel discorso inaugurale della sua campagna elettorale lo scorso gennaio, garantendo agli elettori britannici "un nuovo decennio di fronte a noi". Nel 2005 con la sua elezione a Leader dell’opposizione di Sua Maestà, Cameron ha rinfrescato il brand del “grigio” partito conservatore, decontaminandolo da quanto di negativo aveva rappresentato per oltre dieci anni di thatcherismo, modernizzando gradualmente le idee dei tories: proposte avanzate sul fronte della tutela dell’ambiente, responsabilità sui conti pubblici, difesa del sistema sanitario nazionale, completo abbandono di ogni posizione discriminatoria nei confronti di tutte le minoranze (la baronessa Sayeeda Warsi, avvocato britannico di origine pakistana è suo ministro ombra per la Coesione sociale). I conservatori con la sua leadership hanno vinto nettamente ogni elezione locale che si è svolta fino a oggi in Gran Bretagna, conquistando anche importanti roccaforti laburiste. Il divario tra conservatori e laburisti fino allo scorso anno era infatti intorno al 20%, ma questo gap si è ridotto progressivamente fino a oggi (gli ultimi sondaggi di YouGovdel accreditano i conservatori al 33%, i laburisti al 28% e i lib-dem al 29%). Ora, il 33% è lo stesso risultato conseguito da Michael Howard nel 2005. Cameron non è più quindi un “PM in waiting” , come veniva considerato. La partita è ancora tutta da giocare. I tories sono fortissimi nelle aree rurali ma hanno grandi difficoltà nelle realtà urbane. Il gradimento crescente dei liberaldemocratici mette infatti i conservatori in pericolo nei confronti di quel segmento di swing voters che speravano di strappare ai laburisti, specie nei “marginal seats” dove la competizione e la vittoria dei seggi decisivi per la composizione della House of Commons è decisa da una serrata lotta all’ultimo voto. Il tanto criticato (specie dai lib-dem) sistema elettorale del "first past the post" nelle 651 circoscrizioni elettorali, origina vere e proprie battaglie all'ultimo voto. Un esempio? A Torbay nel 1997 il liberaldemocratico Adrian Sanders sconfisse l'avversario tory per sole 12 schede! A Islington South, roccaforte laburista, nel 2005 il Labour vinse con soli 484 voti in più rispetto ai lib-dem. A Finchley (sobborgo di Londra), ex fortezza thatcheriana prima del 1997, nel 2005 il Labour vinse con uno scarto di appena 741 voti sui tories e la circoscrizione è stata recentemente ridisegnata.

La profonda incertezza sull’esito elettorale dipende da due fattori. In primo luogo l’inaspettato successo dopo i dibattiti televisivi dei lib-dem guidati dal giovane Nick Clegg (filo europeista) che ha sottratto a David Cameron la palma della novità e del cambiamento, adottando posizioni radicali che vanno dall'amnistia per i clandestini, a posizioni fortemente critiche nei confronti delle missioni militari all’estero. In secondo luogo la timida ma positiva inversione di tendenza a livello economico determinatasi negli ultimi mesi, che costituisce una vera "boccata d'ossigeno” per il governo laburista. E’ su questo terreno che scontano le maggiori difficoltà i Conservatori. La loro risposta per l’uscita dalla crisi si è incentrata sulla diminuzione del debito pubblico prima di tutto. Cameron ed Osborne propongono l’idea di una “Big Society” contrapposta al “Big Government” laburista di questi anni, la cui principale spinta per il progresso è la responsabilità sociale di tutti, non il controllo centrale del governo. I tories in realtà hanno un programma ancora molto nebuloso: promettono risorse per sanità e istruzione ma non dicono dove intendano raccogliere quelle risorse né dove intendano tagliare per far fronte al risanamento. La prospettiva di un "Hung Parliament" (“parlamento impiccato”) nel quale i lib-dem in crescita possano essere l’ago della bilancia per formare un possibile “governo progressista” lib-lab (come nel 1974) è un ipotesi tutt’altro che remota.