In vista delle elezioni europee del 2019 numerosi osservatori e giornalisti hanno speso fiumi d’inchiostro prospettando una inarrestabile ascesa elettorale dei partiti della destra populista. Tuttavia, appena i primi risultati elettorali hanno cominciato ad essere diffusi, i medesimi osservatori e giornalisti si sono affrettati a sancire «l’arginamento» dei populisti. A tal proposito, è indicativo il commento di Martin Selmayr (segretario generale della Commissione europea), il quale ha dichiarato che «la cosiddetta ondata populista […] è stata contenuta». Tuttavia, laddove tale dichiarazione presenta degli evidenti elementi di veridicità se guardiamo al populismo di sinistra (come ad esempio Podemos e Syriza), o ad altri attori populisti che non sono riconducibili alle classiche categorie politiche (come il Movimento 5 Stelle), questa appare quantomeno dubbia nel caso del populismo di destra. In particolare, la tesi del contenimento dei populisti è infondata se riferita a uno specifico sotto-gruppo dei populismi destra, ovvero la destra radicale populista, ovvero partiti che contestano la democrazia liberal-rappresentativa e propugnano il nativismo, ovvero un’ideologia che sostiene che un dato contesto «dovrebbe essere popolato solo dai membri del gruppo nativo (la nazione) e che gli elementi non-nativi (persone e idee) rappresentano una minaccia fondamentale per l’omogeneità [e sopravvivenza] dello Stato-nazione» (per dettagli, si veda qui). Esempi paradigmatici di partiti della destra radicale populista sono i casi della Lega in Italia, AfD in Germania, Vox in Spagna, DF in Danimarca.La tesi del contenimento dei populisti è infondata se riferita a uno specifico sotto-gruppo dei populismi destra, ovvero la destra radicale populista, ovvero partiti che contestano la democrazia liberal-rappresentativa e propugnano il nativismoMa andiamo con ordine, dapprima confrontando i risultati elettorali dei partiti della destra radicale populista, da un lato, e gli altri populismi di destra , come i nazional-conservatori (ad es. Fidesz in Ungheria e PiS in Polonia), e neoliberali (ad es. Brexit Party e Ukip in Regno Unito). In termini aggregati, la performance elettorale media dei partiti della destra radicale populista si attesta al 8,9%, mentre quella degli altri populismi di destra al 19,2%. Tuttavia, quest’ultimo dato è dipendente molto da alcuni casi specifici, come Fidesz in Ungheria (52,3%), PiS in Polonia, e il Brexit Party in Regno Unito (30,8%). Confrontando i risultati con le precedenti elezioni europee del 2014, possiamo notare come la crescita aggregata dei populisti della destra radicale, da un lato, e gli altri populisti di destra, dall’altro, siano estremamente simili e, soprattutto, modesti: rispettivamente +2,1% e +1.7%. Tuttavia, è bene sottolineare come una variazione considerevole sia riscontrabile sia a livello dei singoli Paesi, sia a livello dei singoli partiti.

La destra radicale populista ha registrato uno spettacolare exploit elettorale in Italia, dove la crescita aggregata di tali formazioni (ovvero Lega e FdI), ha raggiunto il +31,0%, implicando una sostanziale ridefinizione di tale porzione dello spazio politico (a scapito soprattutto di FI). Sebbene in misura minore, un chiaro trend positivo della performance complessiva della destra radicale populista è visibile anche in Belgio (o meglio, nelle Fiandre), Estonia, Svezia, Spagna e Germania. In altri contesti, la crescita è stata minima, come in Finlandia, mentre in Austria, Danimarca, Francia e Ungheria, si è osservato un trend negativo. Passando agli altri populismi di destra, una crescita sostanziale si è avuta in Polonia e nel Regno Unito (dove il Brexit Party ha annichilito lo Ukip) e Lussemburgo, e laddove in Ungheria l’incremento percentuale è stato minimo, negli altri casi è osservabile un trend negativo (Belgio, Bulgaria e, in particolare, Italia). La limitata crescita aggregata della percentuale di voti raccolta da questi populismi è in parte spiegata da un fenomeno di crescente rilevanza, ovvero la competizione tra partiti populisti. Infatti, nuovi partiti come il Brexit Party, il FvD nei Paesi Bassi, e EL in Grecia hanno drenato buona parte del sostegno elettorale dei populismi di destra preesistenti.

Tuttavia, questi sono solo numeri, e in quanto tali non rendono giustizia ad alcune dinamiche di fondo che oramai caratterizzano la politica europea contemporanea. Infatti, l’ipotesi del «contenimento» dei populisti sembra ragionevole solo se riferita ai populismi di sinistra (come Syriza o Podemos), e ad altri attori che non sono né di destra né di sinistra  - qualsiasi sia il significato che vogliamo dare a queste categorie – (come il M5S). Infatti, è un errore interpretare la modesta crescita elettorale dei populismi di destra come una modesta crescita nei termini di influenza. Semmai, è vero il contrario, in particolare se ci focalizziamo sulla destra radicale populista. Significativamente, il prossimo Parlamento europeo vedrà un’influenza senza precedenti del (nuovo) gruppo dove confluiranno la maggior parte di tali formazioni, ovvero l’Alleanza Europea dei Popoli e delle Nazioni. L’influenza della destra radicale populista sarà sostanzialmente più considerevole non solo a seguito del maggior numero di seggi guadagnati (che per la stragrande maggioranza vengono portati in dote dalla Lega), ma anche perché partiti precedentemente parte di altri gruppi nel Parlamento europeo, come ad esempio il Partito del Popolo Danese e i Veri Finlandesi, vi faranno parte. Tali sviluppi assumono una rilevanza ancora maggiore alla luce del fatto che i due tradizionali gruppi nel parlamento europeo, ovvero il Ppe e S&D non disporranno di una maggioranza dei seggi.Il prossimo Parlamento europeo vedrà un’influenza senza precedenti del (nuovo) gruppo dove confluiranno la maggior parte di tali formazioni, ovvero l’Alleanza Europea dei Popoli e delle NazioniIn conclusione, la modesta crescita elettorale della destra populista alle elezioni europee del 2019 non deve essere fraintesa, né confusa, con un contenimento della rilevanza e potere d’influenza di tali partiti. Al contrario, è bene ricordare che il populismo di destra aveva già registrato un exploit considerevole nelle precedenti elezioni tenutesi nel 2014, e che il 2019 semmai segnala un consolidamento della loro peso elettorale. Inoltre, queste 2019 sottolineano, ancora una volta, la limitata capacità dei partiti tradizionali di centrodestra e centrosinistra di recuperare terreno nei confronti dei populisti. Significativamente, anche laddove ciò è avvenuto (in particolare in Danimarca), i partiti mainstream non sono andati oltre  una strategia «copia e incolla», ovvero recependo buona parte delle proposte e narrazioni tipiche della destra radicale populista, in particolare sui temi dell’immigrazione e asilo politico. Paradossalmente, tuttavia, anche questa dinamica è un chiaro indicatore della crescente rilevanza, capacità di influenza e del livello di legittimazione della destra populista nella politica europea contemporanea.