Tutti pazzi per Ocasio-Cortez. La storia che si è chiusa nel 1989 è quella dell’Occidente così come lo abbiamo conosciuto sino ad allora. La fine, in altre parole, di una storia fatta da nemici riconoscibili, da confini stabili, da muri (fisici o ideologici) che davano alle comunità politiche una identità precisa. Iniziava allora a rendersi più sottile quella distinzione nemico/amico che Carl Schmitt, ne Il concetto di politico, aveva indicato come fondamentale nel processo di formazione di un aggregato politico coeso. Con il crollo del muro di Berlino svanivano le polarizzazioni. L’Occidente perdeva la bussola.

A guardarla ora, la fine di quella storia ha una portata vastissima e capillare, i cui volti sono tanti quante le sue intersezioni. I suoi volti sono quelli dei famigerati “-ismi” che affliggono la politica mondiale del nuovo millennio: capitalismo, neoliberismo, populismo. Sono quelli dei nemici disperatamente cercati dagli Stati Uniti negli ultimi trent’anni: Saddam Hussein, Osama bin Laden e Muammar Gheddafi; Vladimir Putin e Kim Jong-un. E ancora, sono i volti di coloro che si trovano bloccati dal muro voluto da Donald Trump per proteggere la frontiera degli Stati Uniti, dagli stranieri, dagli altri, dai diversi (ancora Schmitt risuona). Ma i suo volti sono anche quelli spauriti delle potenze mondiali in preda a una politica lacerata, asservita alle logiche di mercato, alla ricerca di nuovi nemici utili per riconoscere la propria identità. Ecco, allora, in fondo, il 1989 ha il volto di uno scombussolamento, di una disgregazione, di un miscuglio. E, anche, di una mestiza.

Proprio nel 1989, 5000 chilometri a Ovest di Berlino e poco meno di un mese prima del crollo del muro, nel Bronx, nasceva Alexandria Ocasio-Cortez – la democratica socialista dalla formidabile carica politica. Il suo impatto mediatico e il suo piglio fanno pensare a lei come a qualcuna che, nei prossimi dieci anni, sarà in grado di fare la differenza nella politica statunitense e mondiale. Ma cosa ha Ocasio-Cortez di così speciale? Ocasio-Cortez fa ed è quello che i politici vecchio stampo non sanno più fare e non hanno mai potuto essere.

In primo luogo, Ocasio-Cortez è diventata l’interprete di una politica schietta e complessa al tempo. Basti pensare alle battaglie che hanno marcato il suo arrivo a Washington: la proposta di introdurre una tassa al 70% per i super-ricchi; l’impegno contro la legittima corruzione del sistema politico, e quello contro l’inquinamento e i conseguenti cambiamenti climatici. Non c’è niente di radicale in queste posizioni, eppure il modo in cui vengono affrontate lascia emergere una linea specifica, che dice qualcosa su quale sia la filosofia politica dietro il fenomeno Ocasio-Cortez.

Nel suo operato si possono trovare echi di quella visione del contesto politico proposta da Michael Walzer, per cui ogni assemblaggio comunitario è composto da più “sfere”, ovvero spazi differenziati di creazione e sviluppo di beni diversi. In ogni “sfera” vige un criterio di distribuzione e un modello di interazione sociale differente. La sfida, quella che ogni democrazia deve portare avanti, è bilanciare il potere e la forza dei diversi contesti, di modo che nessuno predomini sugli altri e che la logica specifica di ogni “sfera” sia rispettata e ogni bene (denaro, educazione, potere politico) distribuito secondo il suo valore sociale, valore che co-implica sempre tutti gli altri. Ecco, Ocasio-Cortez sceglie battaglie estremamente semplici, ma le porta avanti con l’intelligenza di chi riconosce che l’ingiustizia e la diseguaglianza scaturiscono dall’interazione complessa tra le sfere. Questa giovane donna dalle origini portoricane riesce a sintetizzare in modo diretto, chiaro ed efficace una filosofia non dissimile da (sebbene non deliberatamente ispirata a quella di Walzer e a portarla a totale compimento. Perché un’altra cosa che viene fatta emergere dalla pratica politica di Ocasio-Cortez è che non si può curare l’ingiustizia odierna senza fare i conti con l’espansione incontrollata di una sfera sopra le altre. Se da un lato, infatti, Ocasio-Cortez guarda all’intersezione di singole problematiche politiche e alla loro interazione, la giovane socialista sembra avere ancora ben presente l’idea che se le logiche di scambio iniziano a dettare il passo alla politica, quest’ultima inevitabilmente viene distorta e deperisce. Nell’organizzarsi secondo sistemi normativi estranei (tipici, per esempio, della sfera del denaro), la politica non è più capace di tenere conto in modo adeguato di quella rete di diseguaglianze “complesse” che vengono a intessersi nel collidere delle sfere, nella conformazione variabile di una comunità. In questo modo, le diseguaglianze e le emergenze sociali sono percepite solo sulla base di strategie funzionali, contingenti e utilitaristiche e così la democrazia langue. In quest’ottica, accumulazione incontrollata, inquinamento, corruzione sono riconosciuti anche come effetti dello sbilanciamento del valore dei beni. E non c’è nulla di originale in questo messaggio, ma ciò è irrilevante. Ciò che importa è che Ocasio-Cortez riesce a fondare la sua strategia politica sulla consapevolezza che, da un lato, non esiste una singola linea lungo cui la diseguaglianza si struttura e che, dall’altro, è fondamentale ristrutturare la democrazia attorno a un polo votato alla politica, al politico.

Ma questa saggezza politica (tanto apprezzata quanto contestata) ancora non dice abbastanza sul fenomeno. Una visione politica ben strutturata e votata a interessi che attengono la sfera pubblica non sono sufficienti a spiegare una esposizione mediatica iperbolica. Ciò che pone al centro dei riflettori la giovane socialista è il suo corpo. Sia perché la “filosofia politica” di Ocasio-Cortez non è mai sganciata dal suo modo di presentare le sue idee, sia perché, per destino e per scelta, Ocasio-Cortez ha un corpo estremamente “politico”, ovvero che si presta benissimo ad essere politicizzato.

Basta vederla seduta tra i suoi colleghi il giorno dell’audizione di Cohen, oppure guardare una delle tante foto in cui ride (i denti ben visibili nella bocca spalancata, la testa gettata all’indietro), osservarne le movenze quando rilascia interviste (in una la si vede mimare, nell’ordine, due ragazzi al voto, i fotografi che le corrono incontro, lei che scappa). Oppure vederla improvvisare un balletto fuori da un’aula del congresso, per rimarcare che ad essere inappropriati sono coloro che la biasimano per i suoi modi. E un corpo così, quando comparato a quello degli altri politici statunitensi è un corpo estraneo. Se guardiamo il panorama politico statunitense, in effetti, c’è un numero molto limitato di modi di portare il proprio corpo. Togliendo i politici tradizionali (sì, quelli maschi e bianchi, cravatta, pancia, al più un toupé capricciosamente giovanile), vediamo corpi perfettamente addomesticati. Melania e le donne della famiglia Trump sin troppo curate: nei vestiti, nelle movenze, persino nelle espressioni che lasciano trapelare minimi sentimenti sempre molto adeguati. Hillary Clinton in piena mimesi: tailleur standard e contegno da politico navigato. Stridono gli Obama, comunque molto a modo, sia per colore a contrasto, sia perché – finalmente – di corpi hanno fatto parlare (Michelle e l’orto, Michelle e la corsa coi sacchi, Michelle e…). Ma i corpi degli Obama sono ancora corpi di mezza età, in un legame famigliare, in un contesto rassicurante. Ocasio-Cortez stride. Leggera ma non superficiale – e questo forse è imperdonabile. Porta avanti con brio e serietà le proprie campagne. Dice la sua posizione politica, dalla sua collocazione fisica: quella di una donna giovane, bella, esuberante (loud, direbbero las latinas), preparata e pronta per usare i mezzi del sistema come strumenti per cambiare il sistema. Tutti pazzi per lei perché, amata o odiata, ricorda il crollo di una diga. Quella degli -ismi, dei nemici chiari, dei blocchi e dei baratti, del “colorblock”, dei pregiudizi.