Quando Roma diventa capitale d’Italia il suo comune viene fatto coincidere evidentemente con l’ultimo lembo dell’ormai estinto Stato Pontificio: esso misura ben 213 mila ettari, oltre 1 ettaro a testa per ognuno dei 212 mila residenti ufficiali. Una proporzione, anzi una sproporzione clamorosa, che non si dà in nessun’altra grande città italiana (né europea, tuttora). Roma, fra l’altro, per numero di abitanti viene superata da altre tre città italiane: Napoli, Torino e Milano.

Al tempo la popolazione romana è in massima parte insediata dentro la cerchia delle Mura Aureliane, specialmente nella zona di Campo Marzio e a Trastevere. Il resto dell’area urbana è coperto da orti, giardini e parchi, questi ultimi imponenti, legati a ville storiche come la Boncompagni Ludovisi (dove sorgerà tutto il quartiere di via Veneto). Fuori dalle Mura verso il mare il vastissimo Agro Romano, un tempo fertile, è stato reso nei secoli un autentico deserto dal flagello della micidiale malaria perniciosa. Dalle Mura Vaticane fino a Ponte Milvio la grande area della piazza d’armi, gli attuali quartieri Prati e Mazzini-Della Vittoria, è ancora priva di qualunque costruzione. A parte i Casali Mellini ai piedi di Monte Mario.

Mantenere questo immenso territorio senza compiervi antecedentemente interventi infrastrutturali straordinari e trasferirvi la capitale del Regno d’Italia è avventurismo, un’impresa destinata a ripetuti fallimenti, a una sorta di crisi permanente. Anche oggi che il territorio comunale di Roma si è ridotto – con l’uscita e la creazione di vari comuni autonomi, quali Ciampino, Ardea, Fiumicino – a quasi 130 mila ettari, esso rimane di gran lunga il più vasto dell’intera Italia. Il secondo per ampiezza è infatti Ravenna, con 66 mila ettari, comune di bonifica dove c’era più acqua che terra, seguito da Cerignola (59.300), Noto (55.499), Sassari (54.700). E sono i primi cinque. Entro i primi dieci comuni figurano Monreale, Gubbio, Foggia, L’Aquila e Grosseto, quest’ultimo vasto 47.300 ettari.

Nessuna delle maggiori città italiane, va detto, è ricompresa fra i primi cento più grandi comuni del Paese: non Milano, 17 mila ettari appena nonostante gli accorpamenti forzosi del ventennio fascista (Dergano, Bresso ecc.), non Torino, né Napoli, né Bologna o Firenze, tutti fra i 14 e i 12 mila ettari, cioè dieci volte meno dell’attuale dimensione territoriale di Roma. Figuriamoci nel 1870.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 2/19, pp. 196-205, è acquistabile qui]