Il tema dei rapporti tra capitalismo e democrazia politica ha una lunga storia ed è stato molto dibattuto. Tuttavia, non c’è dubbio che esso si riproponga oggi di fronte alle profonde trasformazioni in corso nelle democrazie avanzate, che richiedono chiavi di lettura adeguate e nuovi orientamenti per l’azione politica.

Non è casuale, per esempio, che una rivista come l’«Economist» – punto di riferimento per le élite economiche e politiche a livello transnazionale – abbia voluto affrontare di recente la questione, con grande preoccupazione, proponendo addirittura un Manifesto for renewing liberalism. L’obiettivo è mettere in guardia le classi dirigenti circa i rischi che corrono le democrazie avanzate per effetto di un processo di globalizzazione non adeguatamente regolato.

Certo, la globalizzazione degli ultimi decenni ha portato a un miglioramento delle condizioni di vita di un numero consistente degli abitanti della parte più arretrata del pianeta, ma nello stesso tempo si è accompagnata a una crescita vistosa delle disuguaglianze sociali nelle democrazie avanzate, accentuata dalla crisi economica degli ultimi anni. Le conseguenze sono ormai ampiamente visibili anche sul piano politico con l’estendersi dell’onda populista e le difficoltà dei partiti tradizionali, in particolare dei partiti di sinistra che in passato hanno fatto della democrazia politica una leva per conciliare crescita economica e riduzione delle disuguaglianze. In questa situazione appare allora giustificato e opportuno ritornare all’antica questione dei rapporti tra capitalismo e democrazia, perché è in tale quadro che ci si può interrogare su come ridisegnare nuovi meccanismi regolativi capaci di coniugare meglio di quanto abbia saputo fare la prospettiva neoliberista, a lungo egemone, crescita economica e coesione sociale.

Specie tra i critici del capitalismo, ma a volte anche tra i suoi sostenitori, è diffusa l’idea di una incompatibilità di fondo, o comunque di una tensione difficilmente risolvibile tra i due fenomeni. In altre parole, il capitalismo come forma di organizzazione dell’economia non sarebbe compatibile con una democrazia politica forte e ben salda, perché quest’ultima, perseguendo inevitabilmente obiettivi di riduzione delle disuguaglianze, finirebbe per intralciare la libertà dei capitalisti di ricercare il profitto.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 2/19, pp. 177-195, è acquistabile qui]