Negli ultimi mesi sembra essersi palesato un nuovo antidoto politico ai nazional-populisti europei. Ma è lecito ipotizzare che il vero argine all’ondata euroscettica sia rappresentato dai Verdi? Gli ottimi risultati alle recenti tornate regionali in Germania, tra Baviera e Assia, oltre ai sondaggi che oggi li danno come secondo partito tedesco (alle spalle della Cdu e davanti alla Spd) e a risultati inaspettati in Lussemburgo e in Belgio, parlano di un movimento in crescita a fronte di una certa stanchezza delle forze tradizionali. A sei mesi dalle elezioni europee, il panorama politico mostra il Partito popolare europeo in chiara difficoltà, seppur accreditato della maggioranza relativa al Parlamento di Strasburgo: ma la nomina del bavarese Manfred Weber a futuro spitzenkandidat e aspirante successore di Jean-Claude Juncker alla Commissione mette in luce le grosse contraddizioni di un aggregato che al suo interno ospita anche Orbàn e il suo partito, Fidesz. Le forze socialdemocratiche mostrano di essere alle corde un po’ ovunque nel continente, mentre i liberaldemocratici puntano per rilanciarsi su Macron e sulla République En Marche, nel momento in cui il presidente francese, al minimo della sua popolarità, è alle prese con una piazza che appare sempre meno gestibile.

In questo scenario l’avanzata dei partiti nazionalpopulisti preoccupa l’Unione europea e la prossima tornata elettorale si pone come uno spartiacque politico di non poco conto, un vero e proprio referendum continentale su una certa idea di Europa. Il populismo europeo riesce a offrire ricette immediate a problemi complessi, ma la capacità dei movimenti politici che a esso afferiscono di farsi portatori di un’ideologia leggera permette loro di essere molto più efficaci nelle risposte alle paure degli elettori europei. Perché in fondo di questo si tratta: dalla Lega al Rassemblement national, dai Democratici svedesi ai Popolari danesi, tutti offrono una risposta di protezione. Dalla crisi economica del 2008 in poi la richiesta di sicurezza è aumentata. Dai nazional-populisti europei sono arrivate soluzioni in una prospettiva di democrazia illiberale, con ricette di protezione in negativo che in questi anni hanno pagato. Anche i socialdemocratici e le forze cristiano-sociali si sono trovate costrette a ripiegare su politiche securitarie. Un caso su tutti è quello delle politiche di gestione dei migranti, che contraddistingue anche la proposta europea del Migration compact, promossa dalla Commissione europea in prima battuta e rilanciata successivamente da Macron.

In una situazione politicamente così complessa, che vede in difficoltà l’azione delle tradizionali forze europeiste, si è fatta strada la proposta dei Verdi. In essa si ritrova senza dubbio un certo pragmatismo. Ma se è vero, ad esempio, che il partito tedesco oggi governa con la Cdu in Assia, questa maturazione non è sufficiente a spiegarne il successo. Sono altre le ragioni per cui i Verdi possono davvero rappresentare una forza antipopulista. A livello europeo, essi cercano di rispondere alla richiesta di protezione che viene dagli elettori, ma lo fanno in una chiave positiva. La protezione dell’ambiente è ovviamente la ragion d’essere, il punto d’origine dell’ecologismo politico europeo, che tuttavia negli anni ha saputo evolversi. Senza ripercorrere le vicende che in Germania portarono i Verdi al governo insieme al cancelliere Schröder, si può dire che il movimento a livello europeo sia ulteriormente cresciuto e maturato.

L’antipopulismo verde si traduce in una ricetta politica altrettanto agile che punta oltre che sulla difesa dell’ambiente e dei diritti umani, sulla promozione dei diritti civili, sull’inclusione sociale e su un europeismo convinto e radicale. La ricetta della green wave è quindi speculare a quella dell’internazionale populista: messaggi chiari e semplici, con un’alta capacità di adattabilità ai singoli temi che di volta in volta si presentano nell’arena politica.

Da questo punto di vista è interessante valutare con attenzione le dichiarazioni rilasciate dalla copresidente dei Grünen tedeschi, Annalena Bärbock, in occasione del congresso europeo dei Verdi che si svolto a Berlino tra il 23 e il 25 novembre:

In questo momento, siamo vincenti in Germania perché le persone chiedono risposte e gli altri partiti sono così preoccupati da Alternative für Deutschland che ammiccano alle loro posizioni di destra su migranti, euro e Unione europea. Noi Verdi siamo molto chiari e coerenti per quanto riguarda i nostri valori e noi siamo per l’Europa.

Non è un caso nemmeno che al Parlamento europeo la relatrice che ha sostenuto (e ottenuto) l’apertura dell’avvio della procedura di infrazione contro l’Ungheria di Orbán per la violazione dello stato di diritto, sia una deputata verde: l’olandese Judith Sargentini.

Ciò che si muove in Europa è molto differente da ciò che accade in Italia, è evidente. Da noi i Verdi hanno sempre pagato una certa subalternità alle forze di sinistra e sono stati spesso identificati (o rappresentati) come il “Verbot-Partei", il partito dei divieti, così come veniva descritto in Germania il partito verde delle origini negli anni Ottanta dopo l’esperienza movimentista. Oggi, la galassia dei comitati ambientalisti che caratterizzano i singoli territori italiani hanno cercato uno sbocco e una rappresentatività nel Movimento 5 Stelle, che in origine nasce di fatto come movimento ambientalista (le 5 stelle rappresentavano acqua, ambiente, sviluppo sostenibile, trasporti e connettività). Quanto questo connubio sia destinato a durare è difficile dirlo, ma è chiaro che in Italia la Federazione dei Verdi rischia di essere elettoralmente marginale anche alle prossime europee di fine maggio. Tanto più che, ancora una volta, sono elementi politici della sinistra che sperano di declinare in salsa italiana, il percorso di successo dei Grünen tedeschi o degli Ecolo belgi, proponendo soluzioni rosso-verdi (che ricordano più l’esperienza francese, dove oggi comunque secondo l’ultimo sondaggio Ifop una forza rossoverde è accreditata del 7,5%).

Ma l’aspetto che ha dimostrato di essere vincente nelle ultime tornate elettorali per i movimenti Verdi è stata la chiarezza del messaggio e in qualche modo la radicalità della posizione quasi fosse, come detto, un vero contraltare alle ragioni populiste: "Come Verdi abbiamo messo in chiaro che servono analisi radicali di ciò che serve all’Europa, non servono politiche dello status quo come quelle propugnate dai socialisti o il tenere un piede in due scarpe come fa la Cdu", spiega ancora la Baerbock. Una radicalità che non ha i toni oscuri dei nazional-populisti e che tratta ovviamente come prioritari i temi dei mutamenti climatici, dell’economia circolare, ma anche di digitalizzazione e di regolamentazione dei mercati finanziari globali.

Le sfide attuali sono differenti da quelle dei decenni Settanta e Ottanta del XX secolo, quando il movimento ecologista si è fatto strada in Europa e i Verdi dell’Europa centrale hanno saputo rinnovarsi politicamente e anagraficamente. L’attuale copresidente del Verdi europei Reinhard Buetifoker, classe ‘53, uno dei "padri nobili" rimasti nel movimento la spiega così:

Noi eravamo arrabbiati, doveva fare azioni di rottura per guadagnarci uno spazio politico che non c’era. Oggi la nuova generazione che guida i partiti nazionali è composta da trentenni. Sono sorridenti, positivi. Fanno una politica positiva e risolvono le questioni con il sorriso.

Insomma, belli e vincenti, almeno in alcune parti d’Europa, tanto che oltre a candidarsi ad essere la vera forza antipopulista delle prossime europee, i Verdi ambiscono al ruolo di kingmaker nel prossimo Parlamento europeo e sperano di poter entrare nella complessa partita per la scelta del prossimo presidente della Commissione europea. Secondo i sondaggi, nel maggio 2019 i Verdi potrebbero ottenere gli stessi seggi (attorno ai 50) che hanno oggi, ma a fronte di un numero complessivo di eurodeputati ridotto a 705 da 751 per effetto della Brexit, mentre le due attuali forze, Partito popolare europeo e Socialisti e democratici, non avrebbero più la maggioranza assoluta e potrebbero cercare tra i liberaldemocratici o tra i Verdi i nuovi alleati per costruire una nuova maggioranza filoeuropeista in grado di respingere l’assalto degli euroscettici.

I vincenti piacciono e i Verdi almeno in alcune nazioni dell’Europa centrale sembrano avere il vento in poppa. Ma per contare ed essere vincenti anche al voto del 26 maggio dovranno saper cavalcare la green wave e continuare a sapersi porre da antipopulisti. La ricetta della protezione positiva alle insicurezze degli europei potrebbe rivelarsi decisiva.