Sta destando preoccupazione e suscitando sarcasmo la proposta di Luigi Gallo, deputato del Movimento Cinque Stelle, d’istituire “una Commissione per la divulgazione dell’informazione scientifica, al fine di selezionare le migliori forme di diffusione della più recente informazione culturale e scientifica a favore della collettività, da trasmettere attraverso il canale radiotelevisivo pubblico”.

Preoccupazione perché la proposta arriva da un rappresentante di quel mondo – il sistema politico – da sempre accusato di voler controllare l’informazione per condizionare i climi d’opinione. Una pratica che le recenti nomine Rai sembrano confermare, benché – come si sa – l’attuale s’appelli governo del cambiamento.

Sarcasmo perché tale rappresentante proviene da una forza politica distintasi per aver mandato in Parlamento personaggi sensibili alle più improbabili teorie scientifiche e per aver appoggiato, con un’insistenza degna di miglior causa, dapprima la sperimentazione Stamina e, quindi, il movimento no vax.

Effettivamente queste considerazioni e la superficialità della proposta – volta a integrare la legge 112 del 7 ottobre 2013 sul libero accesso all’informazione scientifica – inducono a cattivi pensieri: ad esempio immaginare una possibile futura par condicio del tempo messo a disposizione dalla Rai alla totalità del mondo scientifico a favore dei vaccini e a quel manipolo d’ignoranti (o peggio) che si professano contrari. Si arriverebbe alla sublimazione dell’oggettivismo: ritenere, cioè, che equiparare lo spazio concesso alle varie “campane” voglia dire soddisfare le legittime richieste di completezza e veridicità, senza minimamente preoccuparsi di verificare se quanto si sostiene presenti un minimo di evidenza scientifica e di ragionevolezza. In altri termini, si applicherebbe anche all’informazione culturale e a quella scientifica il “panino” voluto da un illuminato presidente Rai per l’informazione politica: parola ai rappresentanti della maggioranza, quindi a quelli dell’opposizione e, infine, al governo – da cui l’elegante metafora – che obbliga ancora oggi il povero telespettatore italiano a sorbirsi tutte le sere quei faccioni che con sguardi spiritati, che vorrebbero essere determinati, e voci querule, che vorrebbero essere stentoree, ci ammanniscono amenità, tipo la sconfitta della povertà oppure – all’opposto – il pericolo incombente della fine del mondo a causa di quanto deciso dalla maggioranza.

Tuttavia, la richiesta di Gallo, sebbene formulata con il pressapochismo a cui la politica ci sta abituando, affronta un argomento maledettamente serio: come assicurare un’adeguata informazione culturale e scientifica. Un tema finalmente al centro della riflessione di tanti ricercatori e scienziati italiani, che a lungo se ne sono disinteressati, ritenendo che fra l’attività di ricerca – di loro competenza – e quella di diffusione dei risultati, da delegare all’informazione, non ci fosse una relazione strettissima da curare e di cui farsi carico. Con il tempo, la maggiore frequentazione – soprattutto dei ricercatori Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics) – di altri ambienti scientifici, nonché la richiesta – sempre più pressante nella progettazione internazionale di definire anche le forme di diffusione dei risultati delle proprie ricerche all’intera opinione pubblica – hanno determinato un’attenzione crescente. Ormai da anni si parla di trasferimento delle conoscenze dal mondo scientifico alla società. Un’esigenza diventata più urgente per la forza con la quale si manifesta e s’allarga a macchia d’olio la sfiducia verso le élite, che dal rifiuto dell’autoritarismo sta producendo il rifiuto dell’autorevolezza – come sottolinea argutamente Raffaele Simone nell’ultimo numero dell’"Espresso" – a spingersi all’elogio dell’incompetenza, ben descritto da Tom Nichols nel suo La conoscenza e i suoi nemici.

Un piano inclinato ben oliato dalla facilità e rapidità di diffusione delle informazioni attraverso il web e i social, che rendono più complesso distinguere l’esperienza, il prestigio e la credibilità delle tante fonti pronte a intervenire su qualsiasi evento o tema arrivi all’attenzione dell’opinione pubblica. Un disordine informativo sempre meno rimosso dal giornalismo, da sempre l’istituzione chiamata a mettere ordine alla massa indistinta delle informazioni circolanti, attraverso la verifica dei fatti e la gerarchizzazione degli stessi. Anzi, spaventata anch’essa dalle tante insidie a cui è quotidianamente sottoposta (la principale delle quali è di natura economica), l’informazione sembra assecondare tanta confusione attraverso il continuo ricorso all’opinionismo. In tal modo, però, è più facile scadere in un’informazione emotiva, dove prevalgono le sensazioni e gli umori, molto spettacolari e velocemente rappresentabili, rispetto ai ragionamenti e alle argomentazioni, meno sintoniche con i tempi contratti dell’immediatezza. Ci si ritrova così nell’anticamera della post-verità, a parole da tutti rifuggita come pericolo incombente e, però, sempre pronta a rinascere come l’araba fenice!

Peraltro, l’intreccio fra le esigenze commerciali e la velocizzazione dei processi informativi sta producendo un costante restringimento del numero di opinion leader chiamati a intervenire dai media mainstream sui principali fatti d’attualità. Personaggi evidentemente in grado di scongiurare meglio il pericolo del calo d’audience o di diffusione, perché più facilmente riconoscibili dal pubblico. Ogni singolo fruitore attribuisce a taluni di loro una fiducia e una credibilità focalizzate sul singolo, ma poi revocata all’insieme degli opinion leader, consegnati a quel ruolo di élite di cui – come si è detto – si diffida sempre più.

Questa circoscrizione degli opinion leader determina una progressiva rinuncia a ricercare di volta in volta le pur tante competenze esistenti in ciascuno dei campi da trattare. Un’attività di scouting per la quale sarebbero necessari tempo e perizia che il mondo dei media, evidentemente, ritiene di non avere. Un lavoro che sarebbe peraltro facilitato dalle tante istituzioni culturali – a iniziare dalle Università – che stanno mettendo a disposizione banche dati sulle specifiche competenze dei propri esperti e dei propri ricercatori. Ne consegue un’ineludibile superficialità di tantissime discussioni, di cui poi alla fine s’accorge lo stesso pubblico, apparentemente contento di sentire il proprio “beniamino” per l’ennesima volta ribadire il proprio punto di vista e denigrare l’avversario di turno, ma alla lunga stufo di rilievi e commenti poco incisivi.

In conclusione, avremmo davvero bisogno di un gruppo di lavoro che individuasse nuove modalità di diffusione dell’informazione culturale e scientifica; ciò di cui non si avverte assolutamente il bisogno è di un ennesimo manuale Cencelli che si estenda anche alle teorie verificate, verificabili e inverificabili!