Tra partiti più o meno tradizionali e movimenti più o meno nuovi la destra radicale è in crescita in tutta Europa, da Ovest a Est, sia nell’arena elettorale sia in termini di penetrazione e, forse, di incremento di legittimità sociale. Dal risultato storico dell’estrema destra in Svezia, con i Democratici svedesi – questo il nome della formazione sovranista – attestatisi al 18% alle elezioni del settembre scorso, alle elezioni ceche dominate dal cosiddetto «Trump ceco», leader del «partito degli
insoddisfatti», che ha raggiunto il 30% dei voti; all’Austria, dove nell’ottobre del 2017 si è assistito al successo del partito di estrema destra Fpö (Freiheitliche Partei Österreichs) che è salito così al governo, in alleanza con il Partito popolare. Lo stesso è accaduto al Partito del progresso norvegese, la formazione di destra radicale che con oltre il 16% dei consensi alle elezioni parlamentari del 2013 è entrata nel governo per la prima volta nella storia del Paese. C’è poi naturalmente la Germania di un anno fa (elezioni federali del 24 settembre 2017), con il rilevante risultato del partito populista xenofobo di destra Alternative für Deutschland; e c’è la Francia, con il Fronte nazionale (Fn) di Marine Le Pen, giunto al secondo turno delle elezioni che hanno portato alla presidenza di Emmanuel Macron.

L’Europa centrale e dell’Est non fa eccezione a questa tendenza: solo per menzionarne alcuni, il partito ungherese ultranazionalista, antisemita e neofascista Jobbik, dopo aver ricevuto circa il 15% alle elezioni europee del 2014, si è assicurato un 20% alle elezioni nazionali dello stesso anno; mentre lo slovacco Partito popolare Nostra Slovacchia (di
estrema destra, anti-rom, anti-immigrazione, anti-ebrei e anti-Nato) ha ottenuto l’8% dei voti e 14 seggi alle elezioni del 2016 per il Consiglio nazionale.

Come si può spiegare questa quarta ondata di spostamento verso (l’estrema) destra in tutto il continente europeo, dopo una prima e una seconda avvenute fra le due guerre mondiali e una terza identificata agli inizi degli anni Ottanta? Nel dibattito accademico la tesi della mobilitazione dei perdenti della globalizzazione e della recente crisi economica (ma ciò non vale per tutti i Paesi, come ci mostra la Svezia), così come quella di nuove fratture (cleavages) che dividono le società in cerca di organizzazioni che le rappresentino e dello scontro culturale (cultural backlash), sono considerate la chiave per interpretare il successo della destra radicale, almeno in alcuni sistemi partitici.

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 5/18, pp. 831-838, è acquistabile qui]