I nuovi candidati del Partito democratico americano. A galvanizzare i nuovi candidati che si sono presentati alle primarie del Partito democratico americano è stato, come si sente spesso ripetere, il successo a sorpresa nella sfida per la candidatura di rappresentante al Congresso del Queens, a New York, dell’esponente radicale di estrazione latina Alexandria Ocasio-Cortez, che ha battuto il collaudato parlamentare in carica, bollato come esponente dell’establishment bianco. Ma New York non è l’America profonda. E non ha tutti i torti l’"Economist" (The Centre Can Hold, 22.9.2018), poco simpatetico verso i nuovi socialisti americani, a ricordare che l’anima dei democratici resta di fondo centrista (come del resto era ed è centrista Barack Obama), specie se si guarda alle candidature per il Senato, dove si giocherà la partita politica decisiva con l’amministrazione Trump. Qui i democratici di estrazione radicale hanno vinto soltanto nel 37% dei casi, soprattutto nei distretti elettorali dove la presa dei repubblicani è più salda e pervasiva.

Ecco perché merita spingere lo sguardo nell’America profonda, in quelle aree in cui una recente pubblicistica ha scorto le origini della svolta culminata con l’imprevisto trionfo di Trump. Vale la pena di osservare ciò che sta avvenendo nel Midwest, a Detroit, per esempio. Lo Stato del Michigan aveva assegnato la vittoria a Trump con un margine strettissimo (circa 10 mila voti). Ma nella contea più popolosa, Wayne County, quella di Detroit e dei suoi sobborghi principali, le cose non sono andate così, perché i suffragi per Trump non hanno raggiunto nemmeno la quota del 30% e la massa degli elettori ha preferito di gran lunga la candidata democratica. In agosto, nel tredicesimo distretto, quello dei quartieri più poveri, dove la quota della povertà è del 30% sul totale della popolazione, il miglior risultato delle primarie democratiche se l’è aggiudicato una donna nata da due immigrati palestinesi, che dopo di lei hanno avuto tredici figli, Rashida Tlaib, divorziata di 42 anni con due figli, musulmana (anche se a proprio modo, come avviene molto spesso in una nazione dove ci si rimodella la religione sulla scorta delle proprie propensioni personali, dal momento che si dichiara convinta che Allah sia donna). È praticamente sicura di ottenere il seggio al Congresso perché al momento non ha avversari che le si oppongano.

Rashida Tlaib, cui il “Detroit Free Press” ha dedicato il più completo reportage dopo averla seguita per un giorno intero della sua campagna, aderisce a sua volta alla piattaforma dei Democratic Socialists of America, l’associazione politica resa nota da Bernie Sanders, passata in breve dalle poche migliaia di iscritti piuttosto anziani di un tempo ai cinquantamila oggi (con un’età media che è scesa a 33 anni). Ma anche qui è socialista alla propria maniera, come si evince dal suo programma elettorale. In cima c'è Medicare, cioè l’assistenza sanitaria da estendere a tutti; poi la possibilità di accesso libero e gratuito agli studi (oggi i prestiti d’onore all’università sono diventati uno scandalo finanziario) e di possedere una casa senza sottostare alle discriminazioni che da troppi decenni patiscono in primo luogo gli afroamericani, con molte famiglie che hanno perso le loro abitazioni; l’impegno per il recupero di aree devastate dall’inquinamento come ce ne sono non poche a Detroit e nel Michigan; l’intento di portare il salario minimo a 15 dollari l’ora, oltre, naturalmente, alla difesa della rappresentanza sindacale e della contrattazione collettiva.

Che cos’ha di socialista tutto questo? Secondo i parametri europei poco, dal momento che non si ritrovano echi della cultura socialdemocratica dell’intervento pubblico direttamente nei meccanismi dell’economia, del keynesismo, dello Stato programmatore e dell’economia mista. E le assonanze con le politiche del New Deal non possono che essere vaghe, a questo punto, così come lo scenario del confronto e del compromesso tra Big State, Big Labor e Big Business si è dissolto da tempo (lasciando in campo soltanto il Big Business delle grandi piattaforme tecnologiche, non quello d’antan che vorrebbe ricondurre in vita Trump). Quel che s’intravede è piuttosto la volontà di contrastare le manifestazioni più aspre e di combattere il volto più arcigno del capitalismo dell’ultimo trentennio, prendendo da esso le distanze e introducendo dal basso, nel corpo della società, una sorta di spirito pubblico collettivo, fino a costituire un contropotere, a livello locale. Del passato che cosa rimane? La difesa di principio dell’azione sindacale (anche se le unions, compresa quello degli operai dell’auto, preferiscono i candidati più tradizionali e non hanno sostenuto Tlaib).

Soprattutto nel Midwest appare evidente la volontà di permeazione da parte dei candidati radicali della piattaforma democratica, più che l’intenzione di dare una vera constituency socialista al Partito. E infatti anche la candidata democratica per la carica di governatore del Michigan, Gretchen Whitmer, una cinquantenne con una carriera politica consolidata alle spalle, ha adottato un programma non così dissonante da quello di Tlaib (che d’altronde ha trascorso sei anni nel Parlamento statale di Lansing, la capitale locale). Ciò che vogliono davvero i candidati socialisti è spostare a sinistra l’asse del Partito democratico, non certo trasformarlo in una formazione del socialismo come lo si è inteso a lungo in Europa, prima che la socialdemocrazia si eclissasse.

Il loro radicalismo viene dal background eterogeneo che esprimono e che deriva dall’intenso lavoro di recupero delle culture locali soprattutto della Rust Belt, dei territori della deindustrializzazione. Di lì è affiorata l’attenzione per le radici etniche, con la loro trasposizione nel contesto americano di luoghi sottoposti alla metamorfosi, talora devastante, degli ultimi decenni. Quest’opera minuta e capillare ha dato voce a una varietà di itinerari sociali e professionali che talvolta lambiscono la marginalità, ma che possiedono al contempo una carica innovativa tale da restituire una certa linfa alla stessa partecipazione politica.

Il cambiamento politico nel campo democratico americano sale dall’arcipelago dell’immigrazione, da figure e personalità che portano nell’arena elettorale una voglia di mobilità sociale che si lega direttamente a una domanda collettiva di rappresentanza. Il richiamo alla piattaforma socialista serve così per identificare le possibili fondamenta di una coalizione sociale che, pur valorizzando etnie, appartenenze e culture, si proietta al di là di quella politica dell’identità cui Mark Lilla ha attribuito lo stallo dei democratici. Comunque si risolvano le elezioni di Midterm, esse hanno dischiuso uno spiraglio al rinnovamento dell’area democratica che non ha corrispettivi in un’Europa dove la rappresentanza politica della sinistra è lontana ancora dall’aver fatto i conti con l’immigrazione e si ritrova all’anno zero.