Il libro di Antonella Ceccagno City Making and Global Labor Regimes. Chinese Immigrants and Italy's Fast Fashion Industry, recentemente pubblicato da Palgrave Macmillan, è lettura preziosa, non solamente per chi ha un interesse specifico per il tema centrale – l'imprenditoria cinese nel distretto tessile e dell'abbigliamento di Prato – ma anche per chi si occupa più in generale di trasformazioni produttive e del lavoro nel capitalismo globale.

Il libro, infatti, ci conduce in un viaggio dentro i laboratori degli imprenditori cinesi a Prato, mostrandoci le modalità di organizzazione della produzione e del lavoro e come queste si relazionino alle trasformazioni più complesse dell'industria globale del fast fashion, delle gerarchie economiche e delle politiche globali.

La tesi centrale è che i migranti cinesi abbiano giocato un ruolo centrale nei processi di ristrutturazione e rescaling del distretto e della città di Prato, ruolo che va letto guardando all'intersezione di dinamiche globali, nazionali e locali.

Una tesi che viene argomentata in otto capitoli, all’interno dei quali si ricostruiscono le trasformazioni del distretto; le modalità di inclusione dei migranti cinesi nel settore della moda, anche alla luce delle politiche migratorie italiane; i fattori che stanno alla base della straordinaria competitività dei laboratori cinesi e del loro progressivo spostamento da subfornitori a produttori finali; inoltre, si indagano e si analizzano le caratteristiche del regime di lavoro tipico di questi laboratori, come queste siano peculiari risposte agli imperativi di accumulazione flessibile dell'industria del fast fashion, includendo anche processi di esternalizzazione delle necessità di riproduzione sociale del lavoro.

Un elemento particolarmente interessante è la decostruzione di alcuni luoghi comuni sull'imprenditoria cinese a Prato estremamente diffusi nel dibattito pubblico. In primo luogo l'autrice mette in discussione il fatto che i migranti cinesi siano scollegati (disembedded) dal contesto sociale locale e che le loro modalità di azione costituiscano un tradimento delle tradizioni distrettuali pratesi, considerato il modello esemplare della letteratura sui distretti industriali. Ceccagno evidenzia, invece, come ci siano forti continuità nei due modelli. Ad esempio, l'autrice riporta come le modalità di organizzazione del lavoro delle aziende cinesi, attualmente fortemente contestate come forme di dumping economico, riprendano in realtà molte delle caratteristiche tradizionali del lavoro nei distretti industriali, fra cui la forte diffusione di modelli di impiego informali, caratterizzati dalla presenza di lavoro (almeno parzialmente) sommerso, nei quali i ritorni monetari immediati sono più importanti delle condizioni di lavoro e di sicurezza (generalmente piuttosto precarie) e dove gli stessi lavoratori si oppongono a una regolazione più strutturata e formalizzata.

In secondo luogo il volume mette in discussione l'idea che la diffusione dell'imprenditoria cinese stia alla base del declino dell'economia del distretto e delle difficoltà economiche sperimentate dalla città. Come evidenzia bene l'autrice, l'espansione di laboratori di subfornitura cinese ha invece portato alle imprese finali (native, almeno fino agli anni più recenti) significativi vantaggi. Innanzitutto la possibilità di ottenere benefici simili a quelli della delocalizzazione senza che sia necessario effettivamente spostarsi, ma anche la contiguità spaziale fra aziende finali e subfornitori, sempre più cruciale nel settore del fast fashion, come dimostrato anche dalla diffusione di fenomeni di rilocalizzazione da parte di numerosi grandi marchi.

Secondo l'autrice, questo è stato particolarmente cruciale per le piccole imprese che, non avendo la forza di trasferire la produzione all'estero, hanno potuto sfruttare questa forma di “delocalizzazione in loco” che ha a sua volta, almeno per un certo periodo di tempo, rallentato la crisi del distretto e rafforzato la competitività delle imprese native. Tuttavia, Ceccagno ci mostra anche come la diffusa percezione degli abitanti e delle istituzioni locali che i laboratori cinesi siano in un qualche modo responsabili della crisi di Prato (l'idea della “doppia sfida cinese” all'economia locale, proveniente contemporaneamente dalla Cina e dai suoi migranti) è fondamentale per capire perché proprio a Prato, e non in altri contesti in cui i cinesi sono presenti e sono attivi in ambito manifatturiero, si sia sviluppata una forte stigmatizzazione dell'imprenditoria cinese.

Secondo l'autrice, infatti, gli attacchi all'imprenditoria cinese (e alla sua crescente affluenza) e la “repressione selettiva” cui essa è stata sottoposta sono legati alla drammatica crisi dell'industria cruciale del distretto pratese, il tessile, e alle conseguenze che questa lunga crisi comporta sul piano sociale, economico e politico. Inoltre, l'autrice mostra chiaramente come il “regime di lavoro cinese”, che implica una riconfigurazione estrema dello spazio e del tempo attraverso la compresenza di “stasi” (il modello dei laboratori/dormitori, dove i lavoratori vivono e dormono, che consente una messa a valore totale del tempo di vita e una flessibilità temporale estrema) e “mobilità” (la diffusa mobilità temporanea fra diversi lavoratori), nonché di forme di esternalizzazione delle necessità riproduttive della forza lavoro, sia intimamente connessa agli imperativi dell'industria globale del fast fashion e derivi in larga misura dalle nuove esigenze produttive emerse nel settore e, quindi, anche nei distretti italiani.

Come evidenziato anche da molta letteratura sulle catene globali del valore, Ceccagno sottolinea come ciò che accade ai livelli più bassi delle catene di produzione sia intimamente connesso alle relazioni di potere che legano le diverse imprese e, di conseguenza, sia in larga misura influenzato dalle scelte e dalle richieste delle imprese poste ai vertici. A differenza, quindi, delle diffuse letture culturaliste sull'imprenditoria cinese nei distretti industriali italiani, che ricercano nelle caratteristiche culturali del gruppo etnico le ragioni del loro successo economico, Ceccagno radica saldamente le sue analisi sui cinesi di Prato nelle più complessive e generali trasformazioni del settore della moda a basso costo. Questo, assieme alla piacevolezza della scrittura e alla poderosa base empirica su cui il volume si basa, è probabilmente l'elemento più significativo del libro, che lo rende lettura estremamente interessante per un variegato pubblico di lettori.

 

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