La violenza di genere contro le donne è un fenomeno strutturale e come tale è più difficile da rimuovere. Si annida nello squilibrio delle relazioni tra i sessi e nel desiderio di controllo, possesso e dominio dell’uomo sulla donna. È invisibile perché le donne non la denunciano. Il che sta anche a significare che per capire se la violenza sia in aumento o in diminuzione nel nostro Paese non possiamo utilizzare le denunce, ma le inchieste che stimano il sommerso. L'Istat ha condotto questo tipo di indagine nel 2006 e nel 2014 chiedendo direttamente alle donne se avessero subito i diversi tipi di violenza e se li avessero denunciati. Fino agli inizi degli anni ’90, gli istituti di statistica studiavano la violenza contro le donne nell’ambito più generale delle indagini di vittimizzazione, rilevando contestualmente informazioni su tutti i tipi di reato: dai furti, ai tentati furti, alle rapine. Anche in Italia l’approccio alla violenza di genere condotto dall’Istat è iniziato con l’inserimento dei quesiti su molestie e violenze sessuali, nonché dei ricatti sessuali sul lavoro, con un modulo dell’indagine multiscopo sulla sicurezza dei cittadini in diverse edizioni (la prima nel 1997). Queste indagini, ideate per fare luce sui reati non denunciati e su alcuni aspetti importanti come le caratteristiche delle vittime e la dinamica del fatto, rappresentano tuttora degli strumenti utili per studiare e comprendere parte del sommerso della criminalità. Tuttavia, esse non sono adeguate a rilevare quelle forme di violenza che la donna subisce da qualcuno che le è molto vicino, in particolare il partner o l’ex-partner, e quindi la violenza cosiddetta domestica.

Proprio a partire da queste considerazioni, il Dipartimento per le Pari opportunità presso la presidenza del Consiglio dei ministri e l’Istat nel 2001 stipularono una convenzione per la realizzazione di un’indagine ad hoc su questo tema, con l’ obiettivo di misurare il fenomeno della violenza contro le donne in Italia in tutte le sue diverse forme: violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica. Ci sono voluti cinque anni per dotarsi di uno strumento metodologicamente adeguato per misurare il fenomeno nelle sue sfaccettature. Cinque anni molto utili perché hanno posto le basi per la costruzione di una metodologia seria, sulla base di test sui quesiti dei questionari, sulle tecniche di indagine, sulla sequenza delle domande e di focus group con centri antiviolenza e donne maltrattate.

I risultati sono molto interessanti. La violenza sulle donne è un fenomeno molto ampio: 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, ovvero il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni. Il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. I partner attuali o ex commettono le violenze più gravi. Basti pensare che il 62,7% degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente, che sono anche la maggioranza degli autori di violenze fisiche. Milioni di donne subiscono violenza psicologica all’interno della coppia. È un fenomeno purtroppo impunito: solo una infima parte degli autori è condannato. Nonostante la percezione generale di crescita, la violenza in quegli anni stava diminuendo (sia quella fisica, che sessuale, psicologica, da partner, da ex e da altra persona). Una diminuzione che toccava le donne trasversalmente, anche se il calo si manifestava maggiormente tra le studentesse. Per queste ultime, l’incidenza negli ultimi cinque anni precedenti il 2006 e il 2014 passa dal 17,1% all’11,9% nel caso di ex partner, dal 5,3% al 2,4% da partner attuale e dal 26,5% al 22% da non partner.

Ma è la violenza meno grave a diminuire. La diminuzione non tocca le forme più gravi come stupri, tentati stupri, femminicidi, ricatti sessuali sul lavoro, casi che restano inchiodati. Inoltre, aumenta la gravità delle violenze subite. La percentuale delle donne che hanno temuto per la propria vita raddoppia, passando dal 18,8% del 2006 al 34,5% del 2014. L’aumento della gravità riguarda anche le violenze da parte dei non partner. Ma come è possibile che la violenza nel complesso diminuisca, ma l’intensità della violenza cresca? Ci sono alcuni dati che ci aiutano a comprendere meglio.

Emerge una maggiore consapevolezza da parte delle donne della violenza subìta. La percentuale di chi non ne parla con nessuno è diminuita dal 32% al 22,9%, le donne cercano di più aiuto. Raddoppia la percentuale delle donne che considerano la violenza subìta un reato (dal 14,3% al 29,6%) anche se sono sempre minoritarie. Quindi emerge una maggiore coscienza femminile nei confronti della violenza contro le donne. Il fatto che diminuisca la violenza meno grave, soprattutto tra le giovani, può far ipotizzare che le donne riescano a interrompere la relazione prima che si avvii l’escalation. Ma la maggiore coscienza e libertà può aver scatenato una reazione maschile più violenta da parte di quegli uomini con un comportamento ispirato a desiderio di dominio e di possesso dell’uomo sulla donna.

Un'ultima riflessione riguarda i ricatti sessuali sul lavoro. Sono tante le donne che li hanno subiti, 1 milione 300 mila. Vengono denunciati meno degli stupri (0,7% contro il 12%). L’isolamento è totale in questi casi, il dramma è vissuto totalmente in solitudine. E non riguarda solamente il mondo dello spettacolo. Sono colpite donne di tutte le classi sociali. La forza del movimento #metoo in America sta nel fatto che, pur partito dalle attrici, esso ha creato un terremoto in moltissime aziende, con iniziative che migliorano il benessere organizzativo e quindi la qualità del lavoro di tutti.

 
:: per ricevere tutti gli aggiornamenti settimanali della rivista il Mulino è sufficiente iscriversi alla newsletter :: QUI