Sono passati sette anni da quel 14 gennaio 2011 quando, con la fuga di Zine El Abidine Ben Ali, la Tunisia entrava prepotentemente in una nuova fase storica al grido di dignità e libertà. Il percorso di costruzione della democrazia che il Paese ha intrapreso in questi anni è stato complesso e non privo di difficoltàLa difficile situazione economica in cui versa la Tunisia ha visto nell’emanazione della manovra di bilancio, appena approvata in Parlamento, un ulteriore giro di vite che una parte importante della popolazione non si è mostrata disposta ad accettare. L’azione del governo vuole rispondere alle misure richieste dal Fondo monetario internazionale, che già nel periodo 2013-2015 aveva approvato un programma previsto dall’accordo stand-by che ha fornito alla Tunisia 1,6 miliardi di dollari e nel 2016 ha consentito l’avvio di un secondo programma per il Paese (accordo che ha previsto una proroga di 48 mesi per un importo di 2,9 miliardi di dollari). Le misure di ristrutturazione economica richieste hanno indotto il governo a introdurre aumenti dei prezzi sui beni di prima necessità, carburanti e servizi e un aumento dell’Iva, mentre la moneta locale, il dinaro, è sempre più debole sul mercato dei cambi.  A essere colpite da queste misure economiche sono indubbiamente le fasce più disagiate della popolazione, che rappresentano una fetta importante del Paese. Com’è tristemente noto, la disoccupazione, che ufficialmente si attesta intorno al 15%, sembrerebbe in realtà raggiungere la quota del 40% in un Paese il cui numero dei giovani è intorno al 70%. La mancanza di prospettive di lavoro rappresenta la vera piaga della Tunisia e genera, per quei giovani che nella Rivolta del 2011 rappresentavano la generazione del cambiamento, marginalizzazione e disincanto. Ne sono derivate tensioni che hanno prodotto forte malcontento nel Paese e hanno visto in questi anni un’importante mobilitazione sociale.

Le ricette dei vari governi che si sono succeduti non sono apparse efficaci in un Paese in cui le principali risorse, quali turismo, agricoltura ed esportazione di fosfati, hanno subito un crollo a causa di politiche economiche inefficaci, del terrorismo e della mancanza di investimenti esteri. Tensioni sociali, alto tasso di disoccupazione e leggi come la recente finanziaria con l’aumento dei prezzi sui beni di prima necessità rischiano, quindi, di compromettere il percorso di transizione democratica del Paese.

Tensioni sociali, alto tasso di disoccupazione e leggi come la recente finanziaria con l’aumento dei prezzi sui beni di prima necessità rischiano, quindi, di compromettere il percorso di transizione democratica del Paese

In tutto questo s’inquadra il grido del giovane popolo che, puntando il dito contro la politica di austerity del governo, ha deciso di scendere nelle strade reclamando un cambiamento di strategia economica e sostenendo il ritiro della manovra appena approvata. D’altronde è da qualche tempo che la percezione della popolazione è di vivere in un Paese a due velocità, in cui si è allargata la forbice tra ricchi e poveri, con una sempre maggiore concentrazione di ricchezza nelle mani di sempre meno persone, e un incremento della popolazione scivolata al di sotto della soglia della povertà. Una percezione già palpabile anche nella Tunisia di Ben Ali, quando era evidente la frattura sociale tra coloro che vivevano nell’entroterra e quanti vivevano nella zona costiera. Oggi, nel Paese, una parte consistente della popolazione sta vivendo un’immensa alienazione che la vede impotente nell’affrontare il quotidiano. Al grido di «Libertà e dignità», urlato nelle piazze del 2011, si è unito quello del «Che cosa stiamo aspettando?». FechNestanew?

I giovani nelle piazze virtuali e nelle piazze reali manifestano il loro dissenso e chiedono giustizia sociale, lavoro, cambiamenti di strategia economica. Nel giorno dell’anniversario della Rivolta, alla grande manifestazione pacifica che si è riversata nelle strade di Tunisi la risposta del governo è stata di quella di annunciare una serie di misure a favore delle famiglie bisognose da circa 70 milioni di dinari tunisini (circa 23,5 milioni di euro). Il ministro degli affari sociali Mohamed Trabelsi ha, infatti, dichiarato che l’intenzione è di «garantire un reddito minimo alle famiglie bisognose […] e l’aumento dell’ assegno sociale da 150 a 180 o 210 dinari, a seconda del numero di figli». Inoltre si prevede anche «il raddoppio delle sovvenzioni dedicate ai bimbi diversamente abili, la gratuità delle cure per i disoccupati, l’istituzione di un fondo di garanzia per prestiti e agevolazioni per l’acquisto della prima casa». La promessa di queste misure non sembra convincere parte della popolazione, che tuttavia prende atto e resta vigile su quanto accadrà nei prossimi giorni.

Ed è grazie al lavoro e all’attenzione della società civile se in questi anni la Tunisia, a differenza di altri Paesi nella regione, è riuscita a non precipitare. La società civile è stata attiva attraverso organizzazioni sociali, e nonostante crisi importanti che hanno più volte compromesso il difficile percorso di costruzione della democrazia si è distinta per le battaglie di cui si è fatta promotrice.

La società civile è stata attiva attraverso organizzazioni sociali, e nonostante crisi importanti che hanno più volte compromesso il difficile percorso di costruzione della democrazia si è distinta per le battaglie di cui si è fatta promotrice

Tuttavia l’emergenza economica è una priorità e le manifestazioni degli ultimi giorni dimostrano quanto sia importante puntare su riforme economiche che non siano nell’ottica dell’austerità e del carovita imposte da questa legge finanziaria, ma di un’effettiva crescita occupazionale, in modo da rendere inarrestabile il processo democratico cominciato il 14 gennaio 2011. In questo si attende anche l’aiuto di un’Europa che deve ricominciare a guardare all’altra riva del Mediterraneo.

 

[Questo articolo è stato pubblicato su mentepolitica.it]

 

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