Lo spettro di Weimar. La nave di una improbabile coalizione non ha raggiunto il porto dell’isola caraibica. «Jamaica» è rimasta isolata. I liberali della Repubblica federale tedesca hanno abbandonato domenica sera il tavolo delle trattative (che peraltro erano iniziate da ben quattro settimane), dichiarando che non governare è meglio che governare male. Si erano presentati agli elettori con un programma di riduzione della burocrazia, della spesa pubblica e una buona dose di scetticismo nei confronti delle ipotesi di un rafforzamento dell’Unione europea. Hanno trovato una sponda nell’ala bavarese della Cdu di Angela Merkel, la Csu, che puntava prima di tutto ad arginare l’immigrazione e a mettere un tetto all’accoglienza di profughi e rifugiati. Si sono invece scontrati con i Verdi che, al contrario, puntavano da un alto, come implicito nel loro stesso Dna, alla protezione dell’ambiente e quindi a un rapido abbandono delle centrali a carbone, dall’altro intendevano favorire i ricongiungimenti famigliari pur accettando un tetto all’immigrazione, e si dichiaravano pronti ad accogliere la sfida di Emmanuel Macron sui temi europei.

In queste ultime quattro settimane, l’attenzione si è dunque concentrata su temi solo apparentemente di politica interna: migrazioni, profughi, ambiente. In Germania molti commentatori hanno richiamato il nesso con la questione europea e lo scenario internazionale. In un editoriale di due giorni fa sul «Tagesspiegel» si sosteneva che l’incapacità di rispondere alle proposte di Macron avrebbe significato riconsegnare la Francia a Marine Le Pen. Il resto d’Europa guarda alla Germania e molti tedeschi ne sono consapevoli.

Angela Merkel ha cercato fino in fondo la quadratura del cerchio, ma un compromesso è nei fatti impossibile se ogni partner si presenta con un pacchetto di richieste non negoziabili. Il leader Fdp, Christian Lindner, chiedeva un netto cambiamento di rotta rispetto al passato, una svolta neo-liberale verso destra. Una richiesta difficile da accogliere per chi ha governato ininterrottamente per 12 anni. Angela Merkel non può sconfessare Angela Merkel.

Cosa succederà a questo punto? I socialdemocratici hanno subito dichiarato la loro indisponibilità a una riedizione di una grande coalizione: non possono riproporre una formula chiaramente bocciata dagli elettori. Un loro ripensamento è al momento poco probabile. Di un allargamento della «groko» (acronimo per große Koalition) ai Verdi per ora si parla solo raramente, anche se qualcuno non la esclude in un futuro, nel caso in cui anche eventuali nuove elezioni non dovessero risultare sufficienti per sbloccare la situazione.

Resta l’ipotesi, al momento la più probabile, di un governo di minoranza Cdu-Csu che cerchi di volta in volta al Bundestag una maggioranza diversa sulle proprie proposte: una soluzione fragile votata a un sostanziale immobilismo. L’ipotesi di nuove elezioni incomincia a serpeggiare, anche se in presidente della Repubblica federale, il socialdemocratico Steinmeir, farà tutto quanto è in suo potere per scongiurarla. La Costituzione prevede che venga fatto un governo, che questo venga sfiduciato proponendo un’alternativa (la sfiducia costruttiva) e che dopo un’ulteriore sfiducia il presidente federale possa indurre (entro 60 giorni) nuove elezioni. Tutti temono questa prospettiva. Lo spettro di Weimar è sempre presente. Per fortuna la società tedesca non mostra preoccupanti segni di crisi sociale, anche se la Siemens ha appena annunciato di voler chiudere due fabbriche a Berlino e di licenziare mille operai che hanno dimostrato sulle strade di Moabit, per aprire una nuova fabbrica nella Repubblica Ceca. Probabilmente il sistema politico e sociale della Germania federale è in grado di reggere anche alla prova di nuove elezioni. Ma è legittimo essere seriamente preoccupati.

 

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