La politica italiana non è più sull’orlo di una crisi di nervi: ormai c’è entrata in pieno. Basti considerare i tormenti relativi alle elezioni siciliane: anziché continuare a domandarsi se si possano considerare l’anteprima di quanto succederà a marzo, limitandosi in questo caso alle profezie su chi vincerà le elezioni, converrebbe fare qualche ragionamento pacato su alcune tendenze di fondo.

Innanzitutto sul fenomeno dell’astensionismo. Ridurlo a una questione sicula è piuttosto improprio, visto che alle regionali emiliane del novembre 2014 votò il 37,1% degli aventi diritto e che alle amministrative del giugno scorso al primo turno in pochissimi casi si andò oltre il 40% (e sorvoliamo sul caso di Ostia). Adesso naturalmente tutti, dai 5 Stelle alla sinistra-sinistra fino alla Lega, si affannano a ripetere che ci penseranno loro a richiamare alle urne il gregge disperso. Nessuno, però, che spieghi come mai ne erano convinti anche prima di domenica 5 novembre, ma poi siano stati smentiti alla prova dei fatti.

In realtà un astensionismo così ampio testimonia il distacco dalla politica di quote importanti anche di cittadini informati, che non credono più al significato di scegliere i rappresentanti: vuoi perché una parte pensa che chiunque vinca non cambierà molto, tanto più o meno tutti sono vincolati a fare quel poco che è possibile; vuoi perché un’altra parte pensa che siano tutti egualmente incapaci e poco raccomandabili.

Quel che vediamo è che i partiti sono pochissimo disposti a farsi carico davvero del sistema-Paese e rimangono inchiodati alle rispettive retoriche consolidate, ormai espresse più in formule rituali da negromanti che in ragionamenti che invitino a entrare dialetticamente nel merito di quel che si propone.

Di conseguenza, nessuno si pone il problema della governabilità, che è una dimensione complessa che va oltre la questione, pur importante, di avere in Parlamento una maggioranza ragionevole in grado di dar vita a un esecutivo. Non si capisce come si possa raggiungere questo obiettivo in un sistema che non si presenta più come il famoso bipolarismo (imperfetto), ma ormai neppure come il successivo, e mai sperimentato, tripolarismo confuso. Nemmeno di partitismo polarizzato, per ricordare la nota formula di Giovanni Sartori, è ormai il caso di parlare, perché non si vedono dei veri “poli” capaci di ridurre a sistema l’universo delle frammentate forze politiche.

Il quadro che abbiamo davanti è complicato, se non vogliamo dire desolante. Il problema centrale sembra essere per tutti tenersi stretti i propri pasdaran e rincorrere un elettorato in cui non si riesce più a individuare un possibile elemento unificante, e che di conseguenza viene ridotto a un mix fra rabbia verso l’esistente e paura per il futuro. Di qui le spaccature fra tutte le componenti e la necessità di inventarsi o di promuovere un leader che incarni in forma di spettacolo una proposta tranquillizzante.

Le conseguenze sono principalmente due: una estenuante competizione fra “mattatori” e impresari politici alla ricerca di “mattatori” alternativi da mettere in campo; e un sempre maggiore distacco della classe politica dal rapporto effettivo con i ceti dirigenti del Paese, una parte dei quali comincia a essere tentata di farsi cooptare in un quadro di sistemi economici alternativi a quello italiano (francesi e tedeschi, e forse non solo, stanno inserendosi nel sistema economico italiano).

Sarebbe urgente ritrovare una qualche coesione nazionale di fronte a questo sfrangiamento delle nostre reti sociali, il che non significa un generico “vogliamoci bene”, ma un convergere delle dialettiche verso il confronto sui problemi reali, sulle riforme possibili, sulle solidarietà da ricostruire. Il tutto avendo in mente che il sistema-Paese esiste e quando lo si è scassato diventerà un cumulo di macerie per chiunque vinca.

Basti vedere ciò che sta accadendo nel dibattito della commissione parlamentare sulla crisi del sistema bancario, dove nessuno tiene conto che per giudicare quel che è successo si devono fare i conti con che cosa avrebbe significato promuovere pubblicamente una denuncia che mettesse a nudo lo stato miserevole di un sistema del credito inquinato da interessi politici e da lobbismi provinciali di bassissimo profilo. Si andava allora verso una devastante crisi economica generale e il nostro sistema era ambita preda della speculazione internazionale: non dovrebbe essere dimenticato.

L’Italia sta per affrontare una prova ardua: avendo per ora raggiunto la soglia di una ripresa economica attesa da tempo, rischia di bruciare tutto per l’inadeguatezza di un sistema dei partiti incapace di uscire dalla logica delle faide interne e autoreferenziali, per non dire autistiche.

 

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