Quattro regioni, quattro province, quattro dialetti ma un unico repertorio musicale tradizionale legato al piffero, un oboe popolare con una storia millenaria. Nel territorio montano all’incrocio tra le province di Alessandria, Genova, Piacenza e Pavia incominciano gli Appennini che terminano in Sicilia e, con i loro 1.500 km, disegnano la spina dorsale del Paese.

Il toponimo «Quattro province» si ritrova in alcuni studi di etno-musicologia degli anni Settanta per definire quest’area appenninica accomunata da uno stesso patrimonio di musica popolare. Solo di recente le popolazioni locali hanno iniziato a utilizzare l’espressione per indicare la zona, tanto nei suoi aspetti geografici quanto in quelli culturali. Il processo di allargamento identitario, però, è agli inizi e ci sono ancora vari ponti da attraversare. Come testimonia lo studioso locale Gianfranco «Jeff» Quiligotti, l’identità dei valligiani resta profondamente incollata alle singole valli, segnate dai torrenti che scorrono nel loro fondo, dai campanili e dai paesi.

La Val Borbera è una delle porzioni delle Quattro province sull’appennino ligure-piemontese. L’unica valle del Piemonte a confinare con l’Emilia-Romagna, un territorio dove i paesi principali mantengono la denominazione «ligure» nel nome, in virtù della passata amministrazione genovese.

All’interno della Val Borbera si possono individuare tre zone altimetriche: una parte alta, che comprende i comuni montani di Carrega Ligure, Roccaforte Ligure, Mongiardino Ligure e Cabella Ligure, con altitudini massime sino a 1.700 metri; una parte mediana che comprende Albera Ligure, Rocchetta Ligure e Cantalupo Ligure, fino a 420 metri; una parte bassa, coincidente con i due comuni collinari di Borghetto e Vignole Borbera, intorno ai 250 metri di altitudine. La parte alta della Valle è un territorio montano, caratterizzato da pendici boscose di querceti di rovereto e cerrete; salendo verso gli alti versanti si incontrano castagneti da frutto e faggete. Qui l’abbandono dei pascoli ha lasciato spazio all’avanzata del bosco e della vegetazione spontanea. La fascia pedemontana che contorna i rilievi appenninici è morfologicamente più collinare e meno boscosa, con vallate laterali impervie e strette. Il fondovalle invece è caratterizzato dal marcato processo di industrializzazione, avviato nel secondo dopoguerra, per via della sua collocazione a poco più di un’ora dai tre vertici del triangolo industriale. Lo sviluppo edilizio, residenziale e infrastrutturale che ne è seguito ha avuto un forte impatto sul paesaggio.

La gola delle «Strette di Pertuso» costituisce una sorta di cerniera tra il fondovalle e la parte alta, marcandone al contempo una discontinuità. In questo tratto il fiume Borbera si insinua dentro al massiccio conglomeratico, che si presenta al viaggiatore come un titano addormentato; questa «incisione fluviale» dà vita a uno spettacolare canyon lungo alcuni chilometri. Oltre che dal passaggio altimetrico, l’alta e la bassa valle sono segnate anche da una cesura culturale, quasi antropologica. Per molti secoli, la gente della valle ha sperimentato le stesse dure condizioni della vita contadina, ha condiviso le medesime pratiche di lavoro per coltivare la terra, allevare gli animali e preservare la montagna, ha usato lo stesso dialetto, una variante della lingua ligure, e si è sposata più spesso con i valligiani che con chi viveva in pianura. La forte endogamia ha così creato un «isolato genetico» tale che il San Raffaele di Milano lo ha scelto per un’analisi dei fattori di rischio responsabili di alcune gravi malattie.

Nonostante la posizione geografica strategica, che l'ha resa crocevia di collegamento tra la pianura e il mare (la via del sale), oggi la Val Borbera possiede tutti i tratti delle aree marginali: declino demografico, struttura economica debole, riduzione della superficie agricola, servizi rarefatti, azione pubblica frammentata. L’esodo massiccio, che in alcuni paesi è iniziato a fine Ottocento e si è intensificato negli anni del boom industriale, ha portato la popolazione a inurbarsi nelle cittadine del fondovalle e nel centro di riferimento per eccellenza, la «Genova per noi» cantata da Paolo Conte. Non pochi poi sono quelli che hanno attraversato l’oceano per cercare fortuna nel nuovo mondo, come pare anche la nonna materna di papa Francesco, originaria di Teo (nomen omen?), piccola frazione di Cabella Ligure. Chi se n’è andato alla ricerca di una vita più comoda, si è lasciato dietro le tracce del suo passato rurale: interi borghi abbandonati, come Reneuzi, nel Comune di Carrega Ligure, che si è spopolato in seguito a un evento delittuoso, o ancora Avi e Rivarossa, che hanno svolto un ruolo strategico durante la resistenza partigiana; vecchi mulini ad acqua, alcuni ridotti a ruderi come quelli nella Valle dei Campassi e altri recuperati come quello di Santa Maria, nel comune di Albera Ligure; qui e là, accanto alla fitta rete di mulattiere tanti manufatti della civiltà contadina, dalle fontane agli essiccatoi per le castagne. 

La Val Borbera è dunque un territorio al margine. Ci sono però dei segnali di dinamismo che fanno riferimento a flussi di persone in entrata o in transito che producono nuove economie e flussi di conoscenza. Segnali che, se incoraggiati, potrebbero far guadagnare alla valle una posizione più centrale. Su tutto domina la terra nella sua triplice accezione, agro-silvo-pastorale, spirituale e ambientale-paesaggistica.

Negli ultimi anni, la valle ha conosciuto vari insediamenti di nuovi contadini, espressione del fenomeno del neo-ruralismo. Le nuove aziende sono perlopiù attive nell’allevamento di ovini e bovini, nella coltivazione di seminativi e prodotti orti-frutticoli, nel taglio legna. Ciò che accomuna queste realtà è la capacità innovativa sperimentata nei metodi di produzione, attraverso il passaggio a coltivazioni biologiche o naturali e nella commercializzazione dei prodotti, tramite i canali della filiera corta. Alcune aziende, inoltre, stanno diversificando l’attività predisponendo strutture per l’ospitalità. La propensione all’innovazione «frugale» è il filo rosso che avvicina le nuove aziende a quelle «storiche» attive sul territorio che, per colmare lo svantaggio competitivo rispetto alle aziende di pianura, hanno fatto leva sulla valorizzazione delle tipicità locali. Sono questi i casi, per esempio, degli imprenditori agricoli che, negli anni Novanta, hanno recuperato la lavorazione del formaggio Montebore, diventato poi presidio Slow Food, e la coltivazione del vitigno autoctono Timorasso, delle fagiolane, delle mele Carle, dei salumi e delle carni bovine all’erba. Esperienze di «resilienza attiva» portate avanti con perseveranza che hanno consentito la riscoperta e salvaguardia di beni di qualità, espressione del territorio e delle tradizioni contadine locali.

Un altro tipo di flusso è quello innescato, nei primi anni Novanta, dalla comunità intenzionale Sahaja Yoga che ha stabilito la sua sede principale nel Palazzo Doria di Cabella Ligure. Il Comune è così diventato il centro di riferimento per i praticanti del movimento, alcuni dei quali (qualche decina di persone) si sono trasferiti stabilmente nell’area. L’associazione spirituale, che raccoglie migliaia di aderenti in tutto il mondo, organizza meeting periodici di preghiera che portano sul territorio migliaia di persone di diverse nazionalità e da alcuni anni ha fondato una scuola parentale, l’International School. Lo spettacolo dato da centinaia di persone in sari dai mille colori che meditano lungo le rive del fiume Borbera in occasione dei ritrovi di preghiera, da solo, vale una visita. All’aspetto più contemplativo legato alla sacralità della terra, la comunità sta affiancando progetti di eco-turismo come il Parco del benessere, a Mongiardino, e di produzione agricola, che guardano al modello comunitario costituito dalla storica cooperativa Valli Unite, nell’adiacente Val Curone. Valli Unite, un’esperienza di comunità agricola nata negli anni Settanta, rappresenta un caso esemplare di capacità di azione strategica e innovazione culturale, cui di recente anche un servizio dell’«Economist» ha dedicato attenzione.

Infine, la Val Borbera si contraddistingue per le sue risorse paesaggistiche di considerevole valore naturalistico. Tra le principali troviamo due siti di importanza comunitaria: le «Strette di Pertuso» prima citate e il «Massiccio dell’Antola»-Monte Carmo-Monte Legna. Da un punto di vista geologico, le ricerche degli ultimi trent’anni hanno messo in evidenza l’importanza dell’area tra la Val Borbera e le adiacenti Valli Curone e Staffora coma zona-chiave per la comprensione dei rapporti tra i sistemi alpino e appenninico settentrionale. Le rocce di quest’area, infatti, per la loro natura e la loro organizzazione, consentono di ricostruire la storia del territorio attraverso un intervallo temporale di oltre 100 milioni di anni.

La terra è quindi la risorsa più importante per la valle. Le risorse però, da sole, non bastano se non diventano elementi di cooperazione tra vecchi e nuovi residenti, tra attori privati e istituzioni. In Val Borbera l’azione pubblica appare ancora ripiegata sulla dimensione comunale e non assume il territorio come riferimento strategico e collettivo. Si continua a guardare a modelli di sviluppo ormai passati, come per esempio a quello turistico della villeggiatura, senza riuscire a valorizzare gli elementi di novità per proiettarsi nel futuro. La tendenza demografica, se non adeguatamente affrontata, rischia di avviare il territorio verso un declino senza ritorno. Oggi in Val Borbera risiedono 6.339 persone, di cui 4.172 in Bassa Valle e 2.497 in Alta e Media Valle. Al censimento del 1861 la popolazione residente era pari a 17.617 persone (14.359 in Alta e Media Valle e 3.258 in Bassa Valle); tra il 1861 e il 2015 la popolazione cala quindi del 62,1%, con un trend differenziato in Alta-Media Valle (-82,6%) e Bassa Valle (+28,1%). Se il trend rimane lo stesso, l’Alta Valle nel 2030 potrebbe avere circa 1.250 abitanti, tenendo conto anche degli elevati indici di vecchiaia, del basso tasso di natalità e degli attuali flussi migratori. 

Eppure nell’area delle quattro province c’è chi ha compreso che mettere i comuni del territorio in rete per costruire azione cooperativa è l’unico viatico per lo sviluppo locale. Nelle Valli Versa, Tidone e Alta Valle Staffora, nel versante lombardo dell’Appennino, la Fondazione per lo Sviluppo dell’Oltrepò Pavese ha promosso un’efficace azione di collaborazione tra attori istituzionali e realtà dell’associazionismo territoriale all’insegna della valorizzazione della biodiversità, ottenendo il finanziamento del bando AttivAree della Fondazione Cariplo.

Per invertire il declino demografico e dare un futuro alla Val Borbera basterebbe guardare poco più in là, nelle Quattro Province dove risuona sempre la musica dei «Pifferi» ma con un arrangiamento un po’ diverso. 

 

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