Salerno è rappresentata nel discorso pubblico come un’eccezione territoriale positiva rispetto al contesto regionale e, più in generale, meridionale. Non si tratta tanto di rappresentazioni effimere, né di storytelling, quanto piuttosto del riconoscimento di una significativa trasformazione urbana e della sua efficace narrazione, condotte con continuità e coerenza negli ultimi vent’anni. Un periodo che coincide con l’ascesa politica di Vincenzo De Luca, apertosi con la «stagione dei sindaci» dopo le amministrative del ’93 e alimentato, con ampio consenso elettorale, dalla capacità di mettere in forma e rappresentare uno stabile sistema di interessi locali che, direttamente e indirettamente, ha contribuito al governo e alle strategie di trasformazione della città. Pur scontando un limite in termini di pluralismo e partecipazione, la stabilità dell’indirizzo politico è stata la condizione che ha consentito agli attori locali – in primis l’ente locale – di pensare alla trasformazione della città in maniera ambiziosa e in una prospettiva di lungo periodo.

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Salerno ha attraversato la crisi con una chiara direzione di cambiamento, rallentando e accelerando a seconda delle possibilità dettate dal ciclo economico, contando anche su un livello di reddito medio tra i più alti della Regione. Ciò è stato particolarmente evidente nelle linee di sviluppo urbanistico che, al netto di varianti e aggiornamenti, hanno seguito sostanzialmente la pianificazione comunale di metà anni Novanta ispirata al lavoro dell’urbanista Oriol Bohigas. La trasformazione urbanistica è, infatti, un tema essenziale per comprendere la rappresentazione positiva della città che raccoglie i frutti di una virtuosa stagione di pianificazione. Resta aperto, in primo luogo, il progetto di riqualificazione della «città vecchia», che, soprattutto nella parte alta, presenta ancora aree di degrado all’interno di un contesto architettonico di elevato valore storico e artistico. Un’impresa che dovrebbe dare continuità al complesso lavoro che ha già trasformato con esiti perlopiù positivi la parte bassa del centro storico, oggi integrata nella più vasta area centrale a destinazione commerciale e di loisirs. Artigianato artistico, diffusa micro-ricettività non alberghiera, l’espansione dell’area della «movida» sono, insieme alla riqualificazione architettonica, i tratti caratteristici della rivitalizzazione del centro storico. Un processo basato su un equilibrio sociale e ambientale sempre in bilico, da rinnovare con cura e creatività, così come è stato fatto con il recente progetto «Muri d’autore» della Fondazione Alfonso Gatto, intervento di street art che ha dato una diversa visibilità allo stigmatizzato quartiere delle Fornelle.

È questo un tassello delle strategie di crescita turistica della città a cui lo stesso ente comunale ha dato priorità: da esperienze minute come il rinnovamento del branding cittadino, all’attrazione di archistar con concorsi di progettazione, fino alla promozione di grandi eventi come «Luci d’artista», che da oltre dieci anni coinvolge una parte vasta del centro città nei mesi prima e dopo il periodo natalizio, arrivando nel 2016 a contare due milioni di visitatori. Un contributo rilevante alla destagionalizzazione dei flussi turistici che più in generale vede nell’economia degli eventi (festival, mostre, expo, fiere) una leva fondamentale a elevato potenziale di crescita. Al netto delle note ambivalenze dello sviluppo turistico – cattiva occupazione, conflittualità con i residenti, mercificazione dei luoghi… – i risultati più recenti del settore sono considerevoli: l’attrattività turistica della città è infatti cresciuta e i dati sugli arrivi sono stati positivi anche negli anni della crisi, aumentando progressivamente, dal 2007 al 2016, di circa dieci punti percentuali. La città ha beneficiato di presenze turistiche diverse, con itinerari più differenziati rispetto al passato e di più breve durata. Persone – sempre più stranieri, passati dal 27% al 36% delle presenze – che privilegiano l’area urbana come punto di arrivo e di sosta, sfruttando la ricca offerta di servizi e intrattenimento della città per poi muoversi verso i diversi attrattori turistici della provincia: la costiera amalfitana, il Parco archeologico di Paestum, l’estesa e variegata area del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, che sperimenta, oltre al tradizionale turismo balneare, esperienze innovative di valorizzazione dei beni ambientali, artistici e folcloristici.

Contestualmente è cresciuta l’offerta ricettiva cittadina e si è trasformata la sua composizione. La crescita ha riguardato, infatti, soprattutto le strutture non alberghiere, mentre gli alberghi si sono ridotti di numero, con la chiusura di esercizi di dimensioni medio-piccole, a vantaggio di nuove strutture di più grandi dimensioni: nel 2016 si conta circa il 30% di posti letto in più rispetto a dieci anni prima, di cui la metà è offerta da un sistema polverizzato di centinaia di esercizi extra-alberghieri di nuova costituzione. Il settore è stato anche spinto dall’aumento del traffico crocieristico (dai 18,6 mila passeggeri del 2007 ai 189,5 mila del 2015, poi scesi a 111,3 mila nel 2016), un volume rilevante per gli operatori di settore. D’altra parte, terminale meridionale dei treni ad alta velocità, la città e il suo sistema turistico hanno beneficiato del collegamento con le grandi aree metropolitane del Paese per il mercato nazionale, scontando invece negativamente sul piano internazionale le inerzie del progetto dell’aeroporto locale «Salerno Costa d’Amalfi», nome che esprime le sue intenzioni, per ora fallite.

La trasformazione urbana sta poi continuando con la valorizzazione del fronte mare, che rappresenta l’ambito di più forte investimento economico e d’immagine per la città: da Est a Ovest, dal nuovo porto turistico di Marina di Arechi firmato da Santiago Calatrava alla riqualificazione dei quartieri a ridosso del porto commerciale, passando per un sistema di progetti per la linea di costa (messa in sicurezza del lungomare, potenziamento della diportistica e reinsediamento della cantieristica nautica) che sono oggi in bilico, rallentati dalla crisi, con risorse incerte e contestati da comitati civici e associazioni ambientaliste.

A fronte degli avanzamenti della riconversione turistica della città, è però il porto commerciale a confermarsi come componente imprescindibile dell’economia cittadina legata al mare. I traffici portuali, infatti, dopo la flessione negli anni della crisi, hanno ripreso a crescere costantemente a partire già dal 2010: le merci movimentate sono passate dalle 8,6 tonnellate del 2009 alle 13,1 del 2016; di queste oltre la metà è rappresentata da traffici con imbarco e sbarco su veicoli gommati (+32%), un altro 40% è rappresentato da merci in container – che è la componente il cui tonnellaggio è raddoppiato – e il restante 10% è coperto da merci non in contenitori (+28%). Risultati collegati alla ripresa della produzione automobilistica Fca nel Mezzogiorno, al buon andamento dell’agroindustria e, più in generale, alla crescita del commercio internazionale. Contestualmente è aumentato il traffico marittimo grazie alle «autostrade del mare» (201 mila veicoli commerciali nel 2016, +31% rispetto al 2009) e alle «vie del mare» (440 mila passeggeri nel 2016, +57% rispetto al 2009).

Lo sviluppo del porto commerciale si è accompagnato anche alla profonda riqualificazione dei quartieri adiacenti: una trasformazione ad alto impatto simbolico segnata anche da interventi architettonici di richiamo internazionale, come la realizzazione della stazione marittima a firma di Zaha Hadid e, nell’immediata prossimità, dal contestato cantiere incompiuto del progetto di Ricardo Bofill di una grande piazza a emiciclo sul mare, racchiusa da un edificio monumentale circolare, il «Crescent», bloccato dall’intervento giudiziario sollecitato dal movimento «No Crescent». La trasformazione oggi continua con i più recenti cantieri del progetto «Porta Ovest» che prevede, tra l’altro, un nuovo sistema infrastrutturale di accesso alla città tramite un collegamento diretto tra il porto e le autostrade, che ne dovrebbe accrescere l’efficienza logistica.

Un segnale positivo si registra anche per quanto riguarda il numero dei residenti, che torna a crescere dopo un lungo periodo di riduzione: due punti percentuali negli ultimi cinque anni; non tanti da giustificare però l’intensificazione residenziale nella «città compatta», come anche l’estensione, perlopiù speculativa, nei quartieri collinari e soprattutto nelle aree a Est con l’edificazione di nuove torri periferiche: forse il più efficace esempio della «dispersione antiurbana» che lo stesso Bohigas aveva tanto contrastato.

La riqualificazione urbana e lo sviluppo turistico scontano però un’inerzia degli operatori culturali che per ora stentano a trasformare l’effervescenza diffusa del terzo settore a vocazione culturale in un sistema organizzato ed economicamente rilevante. Riprendendo la metafora usata di recente dal designer salernitano Pino Grimaldi, la città si è dotata dell’hardware, ma manca del software per ottimizzare gli investimenti realizzati. Probabilmente ha inciso negativamente anche lo sviluppo autoreferenziale dell’Università di Salerno nel campus di Fisciano, lontano una dozzina di chilometri dal centro città, che ha ridotto le possibilità di contaminazione dei saperi che oggi appare condizione necessaria per sostenere processi culturali di crescita creativi e innovativi. Alla sprovincializzazione dell’immagine della città non corrisponde infatti un’adeguata dinamica culturale, come testimonia anche il lungo elenco di «contenitori» sottoutilizzati: il Complesso monumentale di Santa Sofia, il Palazzo Fruscione, il cinema Augusteo, la Sala Diana, il Palazzo Genovesi, il Teatro Ghirelli… fino allo stesso Castello Arechi. In questa direzione bisognerà riflettere per rinnovare la strategia di crescita della città, senza però trascurare la cura e la manutenzione di quanto già fatto. Si tratta infatti di risultati fragili, instabili, non strutturali come emblematicamente dimostra il caso della raccolta differenziata dei rifiuti urbani, che, dopo aver registrato primati e buone pratiche, oggi appare incagliata e incapace di seguire le esperienze più innovative del settore.

 

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