Stando a quanto scrisse nei suoi diari, duecento anni fa, Goethe nel suo lungo viaggio in Italia si fermò a Firenze più o meno tre ore. Visitò il Duomo, il Battistero e i giardini di Boboli, per poi ripartire alla volta di Roma. Un vero precursore dei tempi, a giudicare da quanto oggi fanno enormi flussi di turisti, gran parte dei quali sostano per un periodo brevissimo che consente loro di vedere una sorta di minimo sindacale dell’immensa mole di monumenti e beni artistici presenti a Firenze: la Galleria dell’Accademia, il Duomo, il Battistero, gli Uffizi, Palazzo Pitti, quando va bene; e poi, dopo una breve immersione nel mercato di San Lorenzo, via alla scoperta di Venezia o di Roma.

Numeri importanti, prevalentemente concentrati in un quadrilatero di territorio estremamente piccolo. Non è quindi un caso vedere sui muri della città scritte del tipo “I turisti ci rubano il centro”. Un turismo mordi e fuggi, non proprio consapevole, come può testimoniare anche chi scrive a cui, mentre passeggiava in una via del centro storico, è stato chiesto, non senza creare sgomento, quanto era distante a piedi il Colosseo. Flussi che sono un’enorme sfida per il modello di governance di una città delle dimensioni come quelle di Firenze sia per la loro entità sia per la loro concentrazione territoriale, che hanno portato alcuni osservatori a individuare un vero e proprio rischio di trasformazione della città in una sorta di Disneyland del Rinascimento.

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Ma Firenze è veramente tutta qua? Per fortuna no. Allargando lo sguardo si nota una realtà molto più differenziata, anche proprio a partire dal turismo e dalla presenza straniera. Non tutti i turisti, infatti, si fermano per tre ore – la permanenza media è cresciuta negli ultimi anni sino ad arrivare alle 3 notti – e non tutto il turismo è ovviamente «inconsapevole». E tra quella enorme quantità di stranieri che popolano quotidianamente Firenze esiste poi una consistente ed eterogenea comunità che vive in città: oltre il doppio della media nazionale di residenti, a cui si unisce un nutrito gruppo di stranieri che vive a Firenze per periodi medio-lunghi senza prendervi la residenza. Tra questi c’è una quota importante di persone con una elevata professionalità, legata alla presenza di istituzioni importanti, imprese e organizzazioni internazionali, multinazionali. Solo per fare qualche esempio, si pensi all’Istituto universitario europeo di Fiesole, che accoglie docenti, studenti di dottorato e post-dottorato per una comunità di oltre 1.000 studiosi provenienti da 60 diversi Paesi; oppure alle oltre 40 università straniere – principalmente americane – che hanno una sede in città. Così come esiste, ed è anzi maggioritaria, una presenza immigrata molto diversa, non senza problemi di integrazione, fortemente diffusa e consolidata, composta prevalentemente da peruviani, romeni, albanesi e cinesi, oramai quasi alla terza generazione: nel quartiere 5, Rifredi, il cognome più diffuso è Hu, il secondo è Rossi, il terzo Chen.

Ma Firenze non è solo turismo. Oltre il fazzoletto del centro c’è una città che fa parte a pieno titolo di quel piccolo gruppo di sistemi locali dell’innovazione che danno vita ai due terzi del numero dei brevetti italiani nei settori dell’alta tecnologia. Una città caratterizzata da un insieme di piccole e medie imprese innovative, sicuramente da potenziare ma di grande dinamicità, specializzate anche nei settori più tradizionali, che si unisce a un sistema della ricerca sul territorio che vede la presenza di alcune importanti grandi imprese da un lato e dell’Università dall’altro, una macchina imponente che con i suoi 3.400 tra docenti, assegnisti e dottorandi e 50.000 studenti incide in modo estremamente significativo sul tessuto della città e sulla sua capacità di innovazione.

Insomma, se non ci si ferma a quello che a prima vista appare più evidente, si nota che il tessuto fiorentino è permeato da un mix di tradizione e innovazione, su cui Firenze poggia le basi per un posizionamento di rilievo in termini di qualità della vita e competitività tra le città di medie dimensioni europee. D’altra parte è proprio per il suo mix di tradizione e innovazione che secondo la Lonely Planet il quartiere più interessante da visitare al mondo è San Frediano, che secondo la guida supera in termini di coolness quartieri di città come New York, Londra, Seattle, Seoul, Rio de Janeiro. D’altra parte anche Theresa May, forse anche senza aver letto la Lonely Planet, nel settembre 2017 ha sostenuto di aver scelto Firenze per tenere il suo atteso discorso sulla Brexit, per il suo essere la città del Rinascimento e della creatività.

Tutto bene quindi? Beh, a dire la verità non proprio. Ci sono molti aspetti di criticità che connotano anche altre realtà metropolitane italiane ma che a Firenze sembrano essere particolarmente rilevanti.

Il primo è quello della mobilità, che sino a oggi ha prodotto conseguenze problematiche sulla sostenibilità ambientale dello sviluppo urbano. Una volta finiti i lavori delle linee 2 e 3 della tramvia, ci saranno alcune zone della città dove si dovrebbe decongestionare il traffico, anche se il condizionale è d’obbligo per una città che ha una delle maggiori densità di veicoli privati per km quadrato d’Italia. Ma anche dopo la tramvia rimarranno da fare molte cose, come ad esempio trovare una soluzione all’attraversamento della città nell’asse Nord-Sud, scoperto dalle linee della tramvia, così come sarà necessario ripensare all’utilizzo metropolitano dell’infrastruttura ferroviaria esistente, potenziandone i servizi, per esempio per collegare meglio alcune aree da cui arrivano importanti flussi di pendolari, come l’area del Valdarno/Valdisieve, alleggerendo così la pressione su strada.

Una seconda sfida è quella dell’abitare. L’attrattività della città, infatti, è un grandissimo punto di forza e una importante leva per lo sviluppo, ma produce dei costi non facili da governare. Uno tra questi è il problema della casa, che diviene un investimento importante per chi ne ha la possibilità ma anche un problema difficile da risolvere per molti altri. Se da un lato il patrimonio immobiliare residenziale (secondo la classifica stilata dal “Sole - 24 Ore” al 2015) è tra i più alti d’Italia, dall’altro questo significa che lo sono anche i costi degli immobili e gli affitti, e non soltanto nel centro storico dove tali costi sono praticamente inarrivabili: il canone medio di locazione mensile per una casa in semicentro nel 2016 raggiunge i 1.500 euro, più basso soltanto di Roma, Venezia e Milano. Tutto questo ha promosso un processo di gentrificazione che ha progressivamente spostato i residenti storici – e anche le loro attività – fuori dal centro e verso i comuni della cintura e che ha profondamente modificato il tessuto sociale urbano, introducendo nuove forme di pressione sulla città.

Collegata a questa c’è poi una terza sfida importante, quella relativa all’esclusione sociale, con la necessità di dare sostegno ai poveri e a coloro che si trovano colpiti da vecchie e nuove forme di marginalità, che poi così pochi non sono. Nel 2015 i senza fissa dimora nella città di Firenze erano quasi 2.000 e le situazioni di povertà incontrate dai centri di ascolto della Caritas sono state oltre il 20% del totale regionale, oltre 4.800 persone. Così come negli ultimi anni sono anche cresciute forme di esclusione più borderline, come quelle che riguardano coloro che hanno redditi bassi, ma comunque non così bassi da poter accedere ad alcuni servizi di Welfare pubblico; tale condizione, unita agli elevati costi che hanno alcuni beni nella città (dalla casa ai servizi del Welfare privato) e all’affievolirsi dei legami comunitari, mette tali individui nella drammatica situazione di non poter soddisfare i propri bisogni primari né tramite il mercato, né tramite la comunità, né tramite il sostegno pubblico. Vero è che il tessuto fiorentino risponde a tale sfida con la grande dinamicità di un volontariato fortemente sviluppato e di un governo locale che fa molto per affrontare il problema, ma è anche vero che si può e si deve fare di più soprattutto a sostegno della coesione sociale e dell’inclusione di coloro per i quali vivere in una città che produce ricchezza ma che ha costi così alti è più un rischio che un’opportunità.

Ma la sfida più grande è quella della governance di una città così eterogenea. Intervenire per priorità singole, infatti, genera senz’altro effetti positivi ma non sistemici, mentre è proprio degli effetti sistemici che una città come Firenze ha bisogno. Non a caso già all’inizio degli anni Duemila Firenze è stata tra le prime città italiane a dotarsi di un piano strategico e anche negli ultimi mesi è stato realizzato un percorso di pianificazione per la città metropolitana. Saper governare in modo coordinato sfide complesse non è certo facile, ma è proprio attraverso la capacità di creare sinergie, di saper individuare visioni e saper scegliere le strade per realizzarle, oltre che di mobilitare una effettiva condivisione di obiettivi e percorsi con la società locale, che passerà la possibilità di coniugare al meglio tradizione e innovazione da un lato e crescita economica e coesione sociale dall’altro. In questo modo sarà anche più facile sorridere con leggerezza al prossimo turista che chiederà come raggiungere a piedi il Colosseo.

 

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