Trieste e il suo porto è il titolo di uno dei documentari sulla storia commerciale e industriale di Trieste che può essere visto su YouTube. Un titolo che si potrebbe trasformare, e avrebbe senz’altro senso, in Trieste è il suo porto. Rifletterebbe bene l’immaginario collettivo che associa gli anni d’oro della città ai tempi in cui il Golfo di Trieste era ricolmo di imbarcazioni, bastimenti, piroscafi. Rispecchierebbe l’attenzione che ancora oggi il giornale locale, “Il Piccolo”, concede a ciò che avviene «in porto». E rifletterebbe il dibattito politico che vede nella rinascita del porto, spesso misurata in Teu (l’unità di misura usata per i container), la via principale per il rilancio economico della città.

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L’attenzione concessa alle attività portuali appare del tutto giustificata. Molto meno l’affidare alle attività portuali poteri rigenerativi che, purtroppo, non hanno più. Le statistiche demografiche parlano chiaro. Nel 1700 si stima che Trieste avesse 5 mila abitanti, un borgo di piccola-media dimensione distribuito lungo il colle di San Giusto; nel 1800 si sale a 30 mila; nel 1869, in soli 70 anni, il balzo a 123 mila; nel 1910 il censimento attesta la presenza di ben 229 mila abitanti. Nel dopoguerra si arriva a 272 mila abitanti, per poi scendere sino al 2011 a 202 mila. Che cosa spiega la parte ascendente della curva? La causa più accreditata, condivisa anche da molti storici, è l’editto di Carlo VI, emanato il 18 marzo 1719, che dichiara Trieste porto franco. La casa d’Asburgo aveva ben compreso che il proprio sviluppo economico necessitava di relazioni commerciali più intense che potevano avvenire in modo più agevole ed efficace per via marittima. Aveva quindi bisogno di attrezzarsi di uno o più porti nei propri territori. Ottiene questo risultato per via fiscale, creando condizioni di vantaggio per Trieste e Fiume, proteggendo la navigazione commerciale, dotandosi di una adeguata marina militare e attraendo persone e capitali presso i porti prescelti. Ciò significa per la città investimenti infrastrutturali (moli, banchine, magazzini, bonifiche), avvio di nuove imprese dedite alla navigazione, alla costruzione e riparazione di navi, all’intermediazione commerciale e ai servizi assicurativi e bancari a supporto delle attività commerciali e del trasporto marittimo. Tali aziende, inizialmente di piccole dimensioni e di carattere locale, diventeranno ben presto colossi pubblico-privati: Lloyd Austriaco (1836), Assicurazioni Generali (1831), Arsenale Lloyd (1837), Riunione Adriatica di Sicurtà (1838). Trieste è in quell’epoca un esempio ben riuscito di quello che gli economisti dei trasporti chiamano Porto Emporio. Le merci arrivano e partono, connettendo l’Impero asburgico (ma non solo) con il resto del mondo, in particolare con l’Oriente. Oppure stazionano in porto, vengono immagazzinate e in parte trasformate da operatori locali. La scarsa meccanizzazione delle attività di carico, scarico e immagazzinamento richiede un ingente sforzo collettivo. Arrivano a Trieste persone prima di tutto dall’entroterra italiano e dalmata (modificando anche la lingua locale), ma anche da territori più lontani. Fulvio Babudieri, uno storico economico che ha dedicato la sua vita professionale a documentare lo sviluppo del porto di Trieste, stima che nel 1875 dei 126.633 abitanti triestini 62.077 erano economicamente attivi. Di questi circa il 65% erano impiegati in settori direttamente o indirettamente connessi all’attività del porto.

La seconda fase dello sviluppo è quella del «porto industriale». Fa riferimento a tutto l’insieme di attività di trasformazione industriale che sfruttano quella che è tecnicamente definita «rottura di carico» nel trasporto delle merci. Le aree portuali sono punti privilegiati per alcune tipologie di insediamento industriale perché vi giungono a costi bassi, come conseguenza del basso attrito (la caratteristica principale del trasporto marittimo rispetto a quello terrestre), materie primi pesanti (minerali ferrosi, carbone, legna, petrolio, vini, caffè) e vi partono prodotti ingombranti (motori, turbine, tubi, mezzi di locomozione). Nel 1900 tali attività a Trieste hanno nomi importanti per la storia economica della cittadina e non solo. Nel settore navale, Cantieri Riuniti dell’Adriatico, gruppo Iri, con 14 mila dipendenti, Cantiere S. Marco, Arsenale Triestino (1.700 occupati). Nella metalmeccanica navale, Fabbriche Macchine S. Andrea. Nella siderurgia, Ilva (1.500 occupati) e Metalmeccanica (13 mila occupati). Per i vini e liquori, Stock. Nel settore della trasformazione alimentare, Salvador (pesci e verdure sottaceto), Dreher (birra), Zara (pasta), Illy e Hausbrandt (caffè), Monopoli di Stato (tabacco). Nell’industria cartaria, Cartiera del Timavo e Modiano (carte da gioco), a cui si aggiunge una sugheria e diverse tipografie. Nel settore del cotone e altre fibre vegetali, il Jutificio Triestino e la Snia Viscosa. Per l’industria chimica e farmaceutica, il colorificio Venezian (in cui operava Ettore Schmidt-Italo Svevo); nell’industria del cemento e del marmo, l’Italcementi e la Cava Romana; nell’industria petrolifera operavano invece due raffinerie (Aquila, Esso) e la Siot (Società Italiana per l’Oleodotto Transalpino).

Alcune di queste aziende operano ancora, altre hanno cessato l’attività, altre ancora si sono trasformate. Significativo è l’esempio del Lloyd Austriaco. Fondato nel 1836 come branca dell'Österreichischer Lloyd, nel 1900 conta 69 piroscafi e opera su 17 linee. Nel 1919, diventa Lloyd Triestino di navigazione. Nel 1998 viene acquistata dalla multinazionale taiwanese Evergreen Marine, che le attribuisce nel 2006 il nome di Italia Marittima. In sintesi, una gloria locale è diventata proprietà di una multinazionale asiatica e il suo destino, compreso quello dei posti di lavori locali, è determinato in siti lontani e dipende dai cicli economici e trasportistici internazionali. Come è accaduto tutto questo? I porti sono diventati «porti moderni o porti gateway».

Il porto gateway, sviluppatosi a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, è caratterizzato dai traffici containerizzati (introdotti nel 1956). È un nodo di una rete logistica in cui segmenti terrestri e marittimi sono fortemente integrati. L’efficienza di un porto deriva dalla sua capacità di far confluire in fretta la merce verso la destinazione finale. La movimentazione delle merci è sempre più meccanizzata e così l’occupazione nelle operazioni portuali cala drasticamente (attualmente gli occupati che svolgono attività direttamente connesse con il porto sono poco più di 8 mila). Il porto gateway necessita di grandi spazi per l’attracco delle navi e la movimentazione dei container e delle merci e rimane scollegato dalla città, anzi spesso è del tutto esterno alle aree urbane. In aggiunta, genera conflitti legati all’uso degli spazi urbani e alla congestione dei mezzi, spesso stradali, che collegano il porto.

Trieste è certamente il suo porto, nel senso che questo ha caratterizzato (e ancora caratterizza) la storia e l’identità della città, ma non può più essere solo questo. I vantaggi fiscali e commerciali legati all’essere integrati economicamente e culturalmente con l’impero asburgico sono terminati con la prima guerra mondiale. I porti competono in modo aperto tra di loro: la containerizzazione e il gigantismo navale penalizza i porti storici italiani, nati all’interno delle città e mancanti degli spazi necessari e delle reti infrastrutturali necessarie per competere nell’era dei porti gateway. La trasformazione delle attività portuali da attività ad alta intensità di lavoro (e di valore aggiunto) ad alta intensità di capitale (e forse a basso valore aggiunto), ha costretto tutte le città portuali a ridefinire la propria specializzazione e quindi la propria identità.

Il conflitto tra i «nostalgici dell’Austria» e gli irredentisti italiani è oramai lasciato all’esame degli storici. Anche i conflitti etnici tra italiani e iugoslavi, che aveva insanguinato il dopoguerra, il protettorato americano e le particolari condizioni legate all’essere localizzati al confine con l’ex cortina di ferro si sta progressivamente esaurendo nella memoria collettiva. L’Europa senza confini è il nuovo scenario con il quale la città di Trieste si deve confrontare. L’essere stata nei secoli precedenti la città dei gruppi (nazionali, religiosi, linguistici) e la localizzazione di confine ha forse creato per Trieste una posizione di vantaggio: ha esposto la città alla cultura internazionale, in molti ambiti, in particolare a quella scientifica. Per una serie favorevole di coincidenze e grazie all’intuizione di benemerite personalità triestine (in particolare del fisico triestino Paolo Budinich, giocando un ruolo simile a quello avuto dal Barone Revoltella nel 1860 nel promuovere l’apertura del canale di Suez), nel 1964 si è insediato a Trieste il Centro internazionale di fisica teorica “Abdus Salam" (Ictp), con l’obiettivo di promuovere l'avanzamento delle conoscenze scientifiche dei Paesi in via di sviluppo, facendo da ponte tra Occidente e Oriente. Parallelamente, si sono sviluppate diverse realtà tecnologicamente avanzate (Area Science Park, Elettra Sincrotrone Trieste, International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology) che fanno sì che il territorio di Trieste presenti la più alta concentrazione di ricercatori in Italia. Tale caratteristica, assieme a quella di aver svolto e di continuare a svolgere un funzione di ponte con l’Est Europeo e con l’Oriente, ha permesso a Trieste di far prevalere la propria candidatura sull’accoppiata olandese Leida-L’Aia e di essere stata nominata nel luglio del 2017 Capitale europea della scienza per il 2020.

È un buon punto di partenza. I prossimi passi, ancora in fae embrionale, dovranno riguardare la trasformazione dei saperi scientifici in attività produttive e servizi innovativi ad alto contenuto tecnologico. Questa è la grossa sfida che attende la città e il suo territorio. Sfida che si può vincere anche grazie al patrimonio di aziende storiche che sono cresciute nell’era del porto emporio e industriale quali Generali, Allianz, Fincantieri, Illy, Grandi Motori/Wartsila, Italia marittima/Evergreen e altre ancora di più recente costituzione quali Tbs Group (ingegneria clinica), Autamarocchi (trasporto stradale e intermodalità), Telit (tecnologia wireless machine to machine), solo per citare le più note.

La storia e la geografia di Trieste hanno senz’altro caratterizzato l’identità e lo sviluppo della città. Ma le trasformazioni tecnologiche hanno radicalmente mutato i suoi vantaggi competitivi e rendono necessaria una continua revisione del modello di specializzazione. Da nodo dei flussi di merci, la città sta cercando di diventare un nodo nei flussi di conoscenza. Sicuramente è bene costruire sul proprio passato, rafforzare le proprie specificità e rendere la città un luogo attraente in cui vivere, rimanendo sempre aperti ai nuovi apporti, sia tecnologici che umani.

 

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