Nelle elezioni comunali ogni città è un caso a sé, con dinamiche specifiche legate alla storia elettorale, ai temi e ai problemi del dibattito politico-amministrativo, alle singole figure dei candidati e alle particolari alchimie coalizionali che si realizzano in ciascun contesto. Questo è sempre più vero anche per la crescente presenza di liste civiche sganciate dai partiti nazionali – che non si limitano cioè al ruolo di «ancelle» dei partiti maggiori ma che spesso diventano, se non protagoniste, comprimarie importanti della contesa elettorale. Se si osservano le stime sui flussi elettorali che l’Istituto Cattaneo ha svolto nei giorni scorsi su alcune delle principali città chiamate al voto (Parma, Genova e altre cinque città), vi sono però alcuni elementi ricorrenti che emergono. Alcune delle dinamiche che queste stime hanno evidenziato rappresentano delle novità rispetto a quanto emerso nelle elezioni comunali degli anni precedenti.

Anzitutto, se è vero che questo turno elettorale ha segnato una decisa sconfitta per il Movimento 5 Stelle (M5S), le stime sui flussi mettono in evidenza che l’elettorato di questo partito si è disperso in tante direzioni diverse. Già negli anni scorsi, quando si analizzavano i flussi tra politiche 2013 e comunali, si osservava che una parte dell’elettorato 5 Stelle, non ritrovando nei candidati locali la stessa attrattiva che aveva il simbolo nazionale, confluiva nel non-voto. Era un dato ormai assodato che nelle competizioni locali la performance del partito di Grillo fosse sempre meno brillante di quella delle competizioni nazionali (anche se molte volte la sua efficacia nei ballottaggi riusciva a rimediare a questo scarto). Nelle città dove sono state stimati flussi delle politiche 2013 questa dinamica ritorna con evidenza: per fare solo qualche esempio, ad Alessandria un quinto di chi scelse Grillo alle politiche si rifugia oggi nell’astensione, a Piacenza più di un quarto, a Pistoia più della metà. Con maggiore o minore intensità, questa dinamica la si era vista già negli anni scorsi. Quest’anno c’è però una novità.

Poiché nelle precedenti comunali (2012) il M5S aveva preso in diverse città percentuali discrete e talvolta consistenti, diventa interessante – per la prima volta nella storia di questa forza politica – osservare anche i flussi rispetto alle amministrative di cinque anni prima. Ebbene, anche rispetto a queste elezioni si nota una dispersione dell’elettorato «grillino». Segno che, l’azione politica svolta dal partito in città e in consiglio comunale non ha prodotto un «radicamento». Il caso eclatante è quello di Parma, dove il candidato ufficiale del Movimento (Ghirarduzzi) attrae una quota irrisoria dell’elettorato che cinque anni fa premiò Pizzarotti: oggi quell’elettorato si divide praticamente in due tra chi sceglie il non-voto (circa il 45%) e chi rimane fedele al sindaco piuttosto che al simbolo delle 5 Stelle (circa il 40%). In modo meno eclatante, anche in altre città l’elettorato 5 Stelle mostra di non essersi consolidato e subisce sbandamenti in tante direzioni. A Genova, meno della metà del bacino che cinque anni fa premiò Putti rimane sul candidato 5 Stelle (Pirondini): quote rilevanti si riversano sul candidato di centrodestra (Bucci) o sugli ex 5 Stelle espulsi dal Movimento (lo stesso Putti o Cassimatis). A La Spezia – per fare un ultimo esempio – fette importanti dei voti di cinque anni fa si spostano sul candidato di centrodestra o su vari candidati «civici»: ben poco di questo elettorato rimane sul candidato pentastellato (che, in parte, rimedia attraendo voti che cinque anni fa erano andati al centrosinistra).

In generale, sono i candidati del centrodestra che riescono ad avvantaggiarsi maggiormente delle fughe dell’elettorato 5 Stelle. In diverse città sottoposte ad analisi è emersa una capacità dei candidati schierati dalla coalizione di centrodestra di pescare voti in modo trasversale, a volte «rubandoli» direttamente al bacino del centrosinistra, a volte attraendoli dai candidati civici o, per l’appunto, dal M5S, a volte (come a La Spezia) recuperandoli anche dall’astensione.

Questa capacità dei candidati di centrodestra di pescare voti in modo trasversale è all’origine di alcuni sorprendenti ribaltamenti nei rapporti di forza tra le due coalizioni. Nella citata La Spezia il centrosinistra cinque anni fa vinceva con facilità al primo turno, oggi è in testa il candidato di centrodestra, che ha saputo tener unito il proprio elettorato, fagocitare quello della Lega e rubare voti che cinque anni fa andarono al centrosinistra e ai 5S. Anche a Piacenza le gerarchie tra centrosinistra e centrodestra si sono ribaltate: anche in questo caso, all’origine di questo sta in primo luogo la riunificazione di un elettorato che cinque anni fa si era diviso tra il candidato di centrodestra e quello della Lega e, in secondo luogo, la capacità di strappare una quota significativa di voti al campo avversario. Ribaltamento anche a Genova: qui però il candidato di centrodestra (Bucci) non pesca nel bacino che fu di Doria. Il suo vantaggio deriva dalla riunificazione di un elettorato che cinque anni fa era diviso in tre (tra Vinai del centrodestra, Rixi della Lega e il civico Musso), oltre che dall’attrazione esercitata su parte dell’elettorato che fu dei 5 Stelle.

Un ultimo elemento che emerge riguarda l’astensione. Negli anni passati, solitamente i flussi tra elezioni politiche ed elezioni locali (comunali o regionali) evidenziavano la maggior capacità del centrosinistra di tenere serrati i propri ranghi e portare i propri elettori a votare. Il centrodestra si rivelava più debole nelle competizioni locali perché quasi ovunque subiva più ingenti perdite verso l’astensione. Le elezioni di domenica hanno evidenziato una dinamica in parte differente: in diverse città, l’astensione ha preso al centrosinistra quote di elettori simili, o talvolta superiori, a quelle prese al centrodestra. 

 

[Questo contributo è frutto del lavoro di analisi del gruppo di ricerca elettorale che fa capo all’Istituto Carlo Cattaneo]