Nel medesimo giorno il papa ha incontrato il presidente degli Stati Uniti e nominato il presidente della Conferenza episcopale italiana – sulla base della terna di nomi votata dall’Assemblea generale dei vescovi. Il mondo e le vicende di casa si raccolgono nella medesima persona, che onora le molte asimmetrie del suo ministero con la stessa attenzione e dedizione. Per quanto riguarda il nostro Paese e la sua Chiesa, Francesco ha fatto convergere la sua scelta con il primo nome della terna uscita dall’urna dell’Assemblea: il cardinale Gualtiero Bassetti, dal 2009 arcivescovo di Perugia e Città della Pieve.

Fu proprio con Bassetti, nel primo Concistoro del 2014, che Francesco iniziò a mettere mano a un processo di decentramento del Collegio cardinalizio. Non solo a rappresentanza di una figura della Chiesa cattolica che egli andava coltivando, ma anche come argine contro uno dei suoi molti mali che Francesco non ha mai cessato di richiamarle alla memoria. Trovare oggi lo stesso Bassetti in una posizione che, per quasi quarant’anni, è stata compresa come luogo di vertice e di potere, potrebbe sembrare un paradosso o uno scherzo del destino. Ma egli ha avuto subito l’abilità di svincolarsi da questo modello precostituito e dalla mentalità che gli corrisponde. Con la semplice affermazione di «non avere programmi preconfezionati da offrire, perché nella mia vita sono stato sempre abbastanza improvvisatore», si è smarcato da una costante che ha caratterizzato la Cei sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, da un lato, e ha affermato una coerenza alla storia del proprio vissuto cara a Francesco, dall’altro.

Ed è proprio così che dovremmo comprendere la sua nomina: Bassetti è uomo plasmato dalla storia di una vita e dalle sue vicende, accolte sempre con fede e nella luce del Vangelo. Un’umanità genuina, accompagnata da una sensibilità pastorale attenta e disponibile – tratto che sovente è mancato ai vescovi italiani, più attenti alle alchimie politiche di ossequiose prossimità al papa e all’oscura macchina vaticana, che alle vicende di vita della gente del nostro Paese. Un uomo che può fare bene anche all’Italia dissestata dei nostri giorni, che non sa più a chi rivolgersi per uscire dal magma in cui si è gettata per propria insipienza e mancanza di qualsiasi progetto politico in grado di aprire qualche prospettiva di futuro.

Capace di contatto con la gente e di apprendere da essa che cosa sia fede e cristianesimo, Bassetti ha sicuramente in mente quale dovrebbe essere lo stile della Chiesa italiana nel vissuto del Paese: «La speranza non è solo un pensiero buono, ma è quell’aderenza così forte ai problemi per cui tu li risolvi. E li risolvi nella maniera giusta secondo il cuore di Dio e secondo le esigenze dei fratelli». Di questa speranza aderente, pratica, concreta, che non guarda alla sicurezza della norma ma alle generose profondità del cuore di Dio e alle esigenze concrete degli uomini e delle donne, il nostro Paese ha un bisogno urgente.

Francesco ha trovato un buon compagno di viaggio per l’Italia, e Bassetti potrebbe trovare qualche «complice» intrigante all’interno di una conferenza episcopale ancora a metà strada nella composizione del personale e nella costruzione di una mentalità affine, affine si badi bene e non servile, a quella del vescovo di Roma e del nuovo corso ecclesiale da lui auspicato.

Bassetti rappresenta il migliore compromesso possibile fra l’immaturità della Cei e l’intenzione di Bergoglio di fare delle Chiese e conferenze episcopali locali il perno dell’universalità del cattolicesimo in regime di fine della modernità. Da un lato, la Cei aveva già rispedito al mittente l’invito di Francesco a eleggere da sé il proprio presidente, come avviene per tutte le altre conferenze episcopali del mondo. Insistendo sulla nomina da parte del papa, la Cei ha cercato di proteggere e garantire il proprio «eccezionalismo», anziché assumersi il compito di proporsi come modello virtuoso di una responsabilità locale e sinodale dell’annuncio del Vangelo. Gesto che, fatto a due passi dal cupolone e dalle stanze vaticane, avrebbe fatto bene a tutta la Chiesa cattolica.

D’altro lato, Bassetti come primo nome della terna consegnata a Francesco è, in un qualche modo, figlio di questa logica e segno del suo continuare a operare all’interno dell’assemblea dei vescovi italiani. Basta guardare all’anagrafe per comprendere che con Bassetti la Cei non si immagina una Chiesa italiana, come Francesco la desidera, oltre lo stesso Francesco. Non costruisce il futuro, gestisce pragmaticamente l’oggi cercando il miglior accomodamento possibile. Considera Bergoglio una parentesi e non si vincola oltre di essa, lasciandosi aperta una via di fuga che non la impegni a raccogliere con convinzione il testimone che Francesco lascerà a ogni Chiesa locale e alla capacità di aver sapientemente coltivato il tesoro prezioso di un’inedita stagione ecclesiale. Se a Bassetti riuscisse di disinnescare questa mentalità diffusa, guidata dall’astuzia del calcolo di un servile compiacimento del sovrano in carica, allora la Cei potrebbe entrare in una nuova fase del suo contributo alla vita della Chiesa cattolica e del nostro Paese. Impresa non facile, che misurerà non tanto la bontà dell’uomo, ma la maturità effettiva del cattolicesimo italiano e la sua disponibilità a vivere e parlare all’altezza del Vangelo.