La metà della popolazione campana, all’incirca tre milioni di persone su sei, vive nello spazio ricompreso tra Napoli e la sua provincia. Basti questo dato a segnalare la peculiarità di una regione caratterizzata da profonde differenziazioni territoriali interne, con aree dinamiche e altre che sembrano condannate a diventare sempre più marginali. Napoli e l’aggregato di comuni da cui è circondata attraggono alla luce di ciò il maggiore interesse nella geografia regionale. Un’attrazione, peraltro, destinata ad accrescersi per i recenti processi di riforma amministrativa, culminati nell’istituzione dell’area metropolitana. Il futuro sviluppo di Napoli va quindi collocato in una dimensione spaziale che superi i suoi confini amministrativi, utile a posizionarla a scala intercomunale e regionale, in modo da rafforzare le interdipendenze economiche, riequilibrare la distribuzione della popolazione e a potenziare strategie di mobilità leggere e diffuse, con l’ulteriore consolidamento dei trasporti e della logistica, nella trama urbana che si sta strutturando a livello regionale.

Nel tessuto regionale ciò che emerge è la difficoltà del passaggio da un modello di industrializzazione rimasto incompiuto ad altre forme di sviluppo. Da Napoli a Caserta, da Salerno ad Avellino sino a Benevento, la grande impresa, arrivata per lo più dall’esterno e con gli incentivi dell’intervento straordinario, ha dato in principio una spinta anche ai processi di modernizzazione sociale. 

Nella regione il rapporto tra imprese e territorio ha spazialmente generato una divisione del lavoro abbastanza articolata nelle città di più grandi dimensioni, deputate ad avere al loro interno, o appena al ridosso, le fabbriche di impianto fordista e un indotto più esterno di piccole e medie aziende, sostenuto dalle intense relazioni di scambio economico con la città e collegato anche a fenomeni di decentramento produttivo. La trama urbanizzata che si struttura a partire dagli anni Sessanta si allarga ai comuni della cintura a ridosso delle città medie e grandi, molto spesso agricoli, che dispongono di spazi di localizzazione. Gli effetti della crisi economica degli anni Settanta mettono in discussione lo sviluppo industriale e decimano l’occupazione. Cambiamenti che investono anche la struttura produttiva di Napoli e che si accentuano durante gli anni Ottanta intensificando il ritmo del declino, con la dismissione dell’acciaieria di Bagnoli e delle raffinerie per il petrolio dell’area orientale della città, di parte della meccanica e con un ridimensionamento dello storico settore dell’abbigliamento e delle calzature, a cui si accompagna quello del commercio. I tanti artigiani e piccoli imprenditori della pelle e della confezione del quartiere Sanità si trasferiscono, anche per i costi elevati degli affitti, nei comuni limitrofi. Piazza Mercato, cuore pulsante dei traffici delle merci a Napoli, viene così scavalcata da altri centri, con l'attività di distribuzione, soprattutto dell’abbigliamento, che si sposta verso l’entroterra del nolano e della zona vesuviana. Allo «svuotamento» dell’apparato produttivo di Napoli corrisponde la strutturazione ex novo e il consolidamento in regione di economie di piccole e medie imprese diffuse in vari luoghi. Si tratta di sistemi che sprigionano una cultura imprenditoriale e una capacità organizzativa per certi versi inaspettata, che in parte discende anche dal legame che questi territori intessono con il capoluogo. Un influsso che viene esercitato in modo meno forte sulle zone interne e più rilevante invece sui comuni che circondano il capoluogo. Quando i nuclei originari, basati sulla grande impresa, perdono competitività si registra una compensazione con le piccole e medie aziende. Il tutto collocato in un’economia regionale che accentua progressivamente il suo carattere terziario.

>> Le province della Campania: i principali dati socio-demografici (Avellino, Benevento, Caserta / Napoli, Salerno)

Esauritosi un ciclo storico, rimangono da gestire le conseguenze che la dismissione dell’industria ha provocato nei territori, alla ricerca di una riconversione produttiva, di un rilancio occupazionale, di una riqualificazione urbana e di una sostenibilità ambientale. Disoccupazione, povertà, inquinamento, sotterramento dei rifiuti industriali con la complicità della camorra: emergenze drammatiche su cui si sta tentando faticosamente di intervenire. Eppure, la crisi della grande impresa non ha significato una totale desertificazione della regione, poiché permangono importanti poli – dall’aeronautica all’automobilistico, ai sistemi moda e agroalimentare – che rendono la Campania il baricentro manifatturiero più significativo di tutto il Mezzogiorno.

L’onda lunga di matrice industrialista continua a influenzare le scelte pubbliche e a porre non pochi problemi di governo del territorio. Bagnoli e Napoli Est sono le due aree simbolo di progetti di rigenerazione urbana avviati più di venticinque anni fa e mai conclusi; il declino industriale di Caserta e la crescita dei più recenti agglomerati logistici (Nola e Marcianise) e, ancora, la ricerca di nuova identità produttiva basata su comparti come quello turistico (lungo il circuito che va dalle isole sino a Sorrento e Pompei) sono i pezzi di un mosaico da ricomporre in una cornice programmatica ancora tutta da costruire, ma collegata e in parte dipendente dalla storia industriale di Napoli e delle altre città medie della Campania.

La concentrazione della popolazione nell’area napoletana, oltre a comportare uno squilibrio in termini di densità abitativa, genera una congestione e un affollamento dello spazio urbano che lo rende caotico e disordinato e incide sulla qualità delle funzioni e dei servizi offerti. Un peso che grava sul capoluogo, per il ruolo direzionale e terziario che da sempre assolve, fulcro intorno a cui gravitano l’intera economia, la mobilità e i servizi socio-sanitari di tutta la regione. Con l’istituzione dell’area metropolitana, Napoli sta affrontando una complessa riarticolazione amministrativa, ma già dai primi anni Novanta emerge l’esigenza di rivederne funzioni e competenze in una prospettiva territoriale che andasse oltre la città capoluogo, per includere l’insieme dei comuni che le fanno da corona. Realtà segnate da tantissime criticità: affollamento e traffico, ambiente degradato, criminalità, problematiche sociali irrisolte e un’economia che fa fatica a competere. Tuttavia, va precisato che questa vasta area non è immobile, anzi. In alcuni punti è attraversata da fenomeni economici positivi (la ripresa del turismo, il comparto agroalimentare e quello della moda in espansione, la prosecuzione dei lavori per l’Alta Velocità), comportando una complessità e contraddittorietà di processi e dinamiche che rendono arduo individuare una chiave di lettura univoca e lineare dei mutamenti in atto. Tutti processi questi, evidentemente, nei quali conta anche il ruolo che le altre città regionali sapranno ritagliarsi. Occorre infatti ripensare a quale identità economica, produttiva e culturale ridare a città come Caserta, per rilanciarla in ambito turistico, o per sostenere quei comuni della sua provincia – da Teverola a Marcianise – dove si sono insediate imprese commerciali e manifatturiere. Occorre ripensare il ruolo di Salerno, che con la sua industria si diffonde sino ai confini della Puglia e della Basilicata, pur preservando una attrattività turistica. E a Benevento, con il comparto dolciario e il suo circondario di comuni di piccole dimensioni che si caratterizza per un’agricoltura di qualità, soprattutto con la produzione di vino e olio. Infine riposizionare Avellino e la sua provincia, dove la dinamicità dell’industria culturale e dell’agroalimentare si pongono come le sfide del futuro. In questi scenari, si individua per altro l’affermazione di medie città che diventano nuovi nodi della rete urbana che si va costituendo. Si tratta di città che per effetto di processi in parte spontanei, in parte deliberatamente costruiti mediante interventi pubblici, stanno creando una relazione funzionale con il capoluogo regionale e, in alcuni casi, con quelli di altre provincie. Una dinamica che investe, per esempio, Capua e Nola, via via caratterizzate da uno sviluppo che emerge da più di un indicatore, non ultima la crescita della dimensione della pubblica amministrazione. In un contesto generale che, all’opposto, ha avuto una netta contrazione di dipendenti in rapporto alla popolazione, pressoché in tutti i comuni della regione, tranne che nei capoluoghi di provincia, questi due centri sono in ascesa. Il primo beneficia certamente della contiguità geografica con Caserta, mentre il crescente protagonismo del secondo dimostra ulteriormente la sua rilevanza in qualità di centro del terziario di riferimento per tutto il comprensorio circostante.

Trasformazioni urbane attraversano la regione, con nuovi centri propulsivi dello sviluppo che crescono anche come effetto del depotenziamento delle sue città storiche. Esse sono interessate da fenomeni di declino industriale e di spopolamento, con un parallelo sviluppo dei centri urbani di media e piccola dimensione che si sviluppano al loro intorno e un persistente incremento della dispersione insediativa. Si è in presenza di insediamenti con tratti quasi omogenei nelle periferie urbane e nei territori non urbani, che seguono uno sviluppo in alcuni casi concentrico rispetto alle città, in altri di tipo lineare lungo i sistemi infrastrutturali presenti, con edilizia residenziale a bassa densità, attività produttive (piccole e medie imprese, non necessariamente collocate in aree con destinazioni d’uso appropriate), grandi funzioni metropolitane (centri commerciali e parchi divertimento) che diventano spesso elementi catalizzatori di mobilità e di nuove urbanizzazioni. Vulcano Buono a Nola, il Centro Campania e un importante outlet del lusso a Marcianise, sono esempi di come la terziarizzazione dell’economia possa incidere sulle trasformazioni insediative e sulla creazione di emergenti flussi di mobilità. Dove nascono queste iniziative si registrano uno spostamento e un aumento della popolazione.

In questo quadro, la questione di fondo è se Napoli da sola possa reggere o meno le spinte e le sfide di una competitività che vede le città sempre più inserite in spazi regionali in grado di esaltare le specificità e le interdipendenze reciproche dei territori, valorizzandole in un modello di sviluppo di profilo internazionale.

 

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