Per ragioni che possono ritenersi di origine anzitutto storico-geografica, la «questione urbana» di Napoli sfugge a schemi interpretativi consolidati e monodirezionali. La città è infatti l’esito dell’incontro tra l’Europa occidentale, culla del liberalismo e del capitalismo urbano-industriale, e la regione mediterranea, con le eredità problematiche del periodo coloniale, ma anche i lasciti di antiche urbanizzazioni, nonché la centralità acquisita in età moderna e il successivo declino economico in età contemporanea. A complemento di tale stratificazione identitaria di lungo periodo si sono aggiunti, nel XX secolo, nuovi posizionamenti politico-geografici della città: quello statuale, come «capitale del Mezzogiorno», nei decenni post-bellici segnati dall’ambizioso programma governativo per le regioni meridionali noto come «Intervento Straordinario»; quello comunitario, quale città destinataria delle politiche di sviluppo regionale dell’Unione Europea dagli anni Novanta in poi, ma anche delle misure di austerità fiscale nel decennio in corso.

Gli studiosi, gli opinionisti e gli attori protagonisti della sfera pubblica che si sono confrontati sul tema di Napoli e del suo sviluppo economico e sociale hanno di volta in volta privilegiato l’una o l’altra rappresentazione: per alcuni, in particolare per chi si richiama alla tradizione del riformismo illuministico, Napoli è – o meglio, deve essere – una «città europea»; per altri, è una «città mediterranea», un polo di scambi e aperture verso mondi più o meno distanti; per altri ancora, è la città «meridionale» che più compiutamente incarna i divari del Sud italiano rispetto al Nord del Paese; infine, per molti Napoli oggi è, al pari delle sue omologhe greche e iberiche, anzitutto una metropoli sud-europea che esemplifica potenzialità e fallimenti del progetto comunitario.

Letto in tale prospettiva, il libro di Paolo Frascani – Napoli. Viaggio nella città reale (Laterza, 2017) – è un contributo importante alla risoluzione del conflitto di rappresentazioni che da sempre caratterizza il dibattito sulla città. L’autore, fin dal titolo, invita infatti a volgere lo sguardo sulla «città reale», vale a dire a soffermarsi sulle vicende che segnano l’evoluzione incessante della società e dell’economia di Napoli, anziché sull’applicabilità di identità inevitabilmente preconfezionate e monolitiche all’analisi dei problemi del presente. La conclusione cui giunge il libro ci restituisce l’idea di una città dal volto «bifronte» che ha lasciato alle spalle lo spettro del declino urbano che si era riaffacciato minaccioso con l’aggravarsi della crisi dei rifiuti sul finire dello scorso decennio, ma che non ha saputo risolvere le proprie contraddizioni di fondo. Le spinte all’innovazione economica e sociale non mancano e non sono mai venute meno nella lunga storia della città, ma si scontrano da sempre con l’auto-referenzialità del suo ceto dirigente, in particolare con quello insediato nei principali partiti politici. Questi ultimi oggi sono dominati, forse ancora più che in passato, da personalità mediocri legate a divisioni correntizie che traggono la propria ragione d’essere dalla spartizione dei bacini elettorali, come si è visto nelle recenti vicissitudini del Pd locale.

Nella sua esplorazione della «città reale», Paolo Frascani compie una ricognizione puntuale di ciò che è emerso di significativo dal punto di vista economico e sociale in anni recenti e di ciò che è sopravvissuto al periodo di crisi generale seguito al tracollo finanziario globale del 2008. L’area metropolitana di Napoli conserva insediamenti produttivi di rilievo internazionale, tanto in settori avanzati come l’aerospaziale, la meccanica, la logistica, quanto in comparti tecnologicamente più maturi ma che hanno saputo rinnovare con successo le proprie produzioni, come il tessile-abbigliamento e l’agro-alimentare. Al tempo stesso, Napoli è partecipe della tendenza più recente che vede le città contemporanee diventare spazi di incubazione per imprese innovative di nuova generazione (le cosiddette start-up). Il libro racconta diversi casi di ascesa imprenditoriale, sottolineando come la città faccia registrare il più alto numero di imprese innovative nel Mezzogiorno, contribuendo in maniera decisiva al quinto posto della Campania a livello nazionale. La presenza di una comunità scientifica che continua a raggiungere punte di eccellenza, nonostante i tagli che hanno colpito le università e i centri di ricerca meridionali più pesantemente che in altre aree del Paese, offre uno stimolo costante alla rigenerazione dello spirito imprenditoriale della città. A ciò si aggiunga la crescita del turismo che ha favorito il nascere di un’imprenditorialità diffusa nel settore dell’ospitalità. La recente impennata nei flussi turistici si deve certamente al rilancio dell’immagine della città e al miglioramento di alcune infrastrutture di trasporto (aeroporto e linea metropolitana) perseguiti da chi ha governato la città in questi anni, ma è anche l’effetto di congiunture fortuite, come il calo di attrazione di alcuni Paesi di area mediterranea o il successo internazionale dei romanzi di Elena Ferrante che ha ridato lustro alla percezione romantica della città dopo il prevalere delle visioni più fosche della stagione di Gomorra. A tali dati positivi si accompagnano – sembra quasi superfluo sottolinearlo – innumerevoli criticità, che in alcuni casi assumono il tratto di vere e proprie infezioni annidate nel corpo vivo della città: il radicamento capillare della malavita organizzata, lo stato di degrado materiale e marginalizzazione sociale in cui versano i quartieri periferici, l’inadeguatezza del trasporto su strada e una qualità generale dei servizi alla collettività ancora al di sotto di quella media nazionale, oltreché naturalmente un tasso di disoccupazione a livelli a dir poco allarmanti e la mancanza di attrazione per le componenti più qualificate della forza-lavoro sia locali sia esterne.

Il libro offre dunque un’analisi accurata delle luci e ombre che si sovrappongono nel quadro della metropoli napoletana. Lo fa attingendo a una pluralità di fonti di informazione, a partire dagli studi di scienze sociali prodotti sulla città negli ultimi anni. Spicca qui la curiosità dell’autore per i lavori degli studiosi stranieri di nuova generazione (soprattutto francesi, britannici e statunitensi) che si sono cimentati nello studio della città, portando alla luce aspetti meno indagati dell’esperienza urbana: la proiezione mediterranea riconquistata grazie alle reti di economia informale dei migranti nordafricani e asiatici; la musica popolare neomelodica come «arte del fare»; i micro-conflitti sull’uso dello spazio urbano nelle piazze riqualificate del centro storico; i fenomeni carsici di mobilità sociale e residenziale in una società apparentemente immutabile. L’autore, inoltre, attinge generosamente alla stampa periodica e quotidiana, testimoniando un paziente lavoro di archivio, oltreché una forte passione civile. Ne vien fuori il quadro di una città che, al di là dei suoi problemi, riesce a suscitare emozioni e senso di appartenenza nei suoi abitanti, dando vita a un dibattito pubblico vivace, che a tratti diventa aspro, tra intellettuali, opinionisti e attivisti sociali schierati anche su fronti opposti tra loro intorno a idee divergenti di sviluppo economico e riqualificazione urbana, come nella migliore tradizione di urban politics conflittuale di matrice statunitense. Il libro, da questo punto di vista, non esita a prendere posizione, lamentando la faziosità e il campanilismo del sindaco De Magistris, in linea con la critica che larga parte dell’establishment locale rivolge all’attuale amministrazione. L’autore dichiaratamente non apprezza la vocazione ribelle e municipalista oggi rivendicata da chi guida la città, con l’inedita alleanza che vede insieme sindaco e movimenti sociali radicali nella contestazione delle politiche di austerità, il cui modello di riferimento sembra essere la Barcellona di Ada Colau, l’attivista urbana protagonista delle campagne anti-sfratto post-2008 eletta inaspettatamente sindaco della capitale catalana.

Che si condividano o meno le posizioni espresse sulla politica della città, il testo si fa apprezzare per il modo in cui l’autore, in una prosa elegante e agile al tempo stesso, è capace di trattare le sfide che interessano Napoli come vera e propria materia vivente a disposizione del lettore, facendo apparire anche le questioni economiche e sociali apparentemente meno intrise di significato politico come terreno aperto di contesa e negoziazione tra i vari attori in gioco. Per questo motivo, il libro è da ritenersi non solo una preziosa introduzione alla conoscenza dello stato attuale della città, ma anche un invito all’azione per tutti coloro che, dalle più disparate collocazioni politiche e ideologiche, intendano oggi impegnarsi per Napoli e il suo futuro.