«Invero, la politica si fa con il cervello, ma non con esso solamente» (Max Weber, Il lavoro intellettuale come professione, Einaudi, 1971, p. 118). In un certo senso, ma molto chiaramente, Weber suggeriva che chi vuole fare politica non può appellarsi sempre semplicemente e rigidamente alle sue convinzioni, ma deve comportarsi in maniera responsabile. Non si riferiva alla «pancia»; anzi, quasi in un preventivo rigetto di pratiche populiste, stigmatizzava l’eventuale adesione a «sensazioni romantiche».

Nel tripudio di critiche a coloro, questa volta non soltanto i classici intellettuali di sinistra, che non sanno parlare alla pancia degli elettori, ma addirittura la disprezzano, mi sembra che si sia andati troppo in là. Direi che moltissimi contro-commentatori hanno esagerato spingendosi ai limiti del populismo, se non, addirittura cadendoci a loro volta dentro. In effetti, sono proprio i leader populisti che mirano a parlare alla pancia del popolo. La risposta del popolo è sempre, soprattutto quando si tratta di elezioni, da ascoltare, che non significa apprezzare né, meno che mai, approvare. I popoli che hanno risposto con la pancia ai messaggi populisti non hanno mai ottenuto un miglior funzionamento del loro sistema politico. Neppure le loro condizioni di vita sono migliorate. Da ultimo, basterebbe chiederlo ai venezuelani che plaudirono a Chavez.

Certo, le critiche, anche di pancia, dei popoli vanno ascoltate poiché comunicano qualcosa di rilevante per le condizioni di vita di una collettività. Vanno anche comprese poiché segnalano disagio, spesso reale, insoddisfazione, spesso derivante da malgoverno e corruzione, preoccupazione per il futuro che la politica sta costruendo. Però, i politici democratici non possono e, arriverei a sostenere, non debbono mai rispondere con la loro pancia. Blandire la pancia del popolo, assecondandone critiche, spesso superficiali e infondate, divisive e xenofobe, addirittura suscitarle e esaltarle non è una risposta politica né tantomeno democratica.

Non era soltanto un sogno quello di Aristotele e di Pericle, di un popolo informato e partecipante, di cittadini che imparano a essere democratici e a comportarsi in quanto tali, riconoscendo le difficoltà della politica e cooperando – senza affidarsi a promesse palingenetiche di un uomo solo che sostiene di averli capiti, di avere capito tutto – alla ricerca di soluzioni il più possibile condivise, ma non unanimistiche. Le soluzioni condivise hanno maggiori probabilità di essere attuate con successo. Ovviamente, ciascuno dei politici potrà scegliere se parlare prevalentemente alla pancia o alla testa degli elettori, assumendosi consapevolmente tutta la responsabilità di esporsi, e in quale misura, nell’una o nell’altra direzione. Tuttavia, neppure quando, non molto frequentemente, vince chi parla alla pancia degli elettori, non merita di essere elogiato per i suoi messaggi e per il suo successo.

Dimenticare completamente le emozioni, i timori, le aspettative, anche gli ideali, degli elettori, soprattutto ad opera di leader che fanno parte dell’establishment, anche se vi sono entrati con merito, è certamente un errore, talvolta decisivo, che si paga con la sconfitta elettorale. È giusto parlare al cuore degli elettori. Bisogna saperlo fare con passione. I leader che hanno cercato di parlare al cervello dell’elettorato e lo hanno fatto anche con il loro cuore, se hanno chiarito le problematiche e spiegato la difficoltà delle soluzioni, se hanno «predicato», più o meno credibilmente, la buona politica, pur finendo sconfitti, meritano molto più rispetto che biasimo e critiche.

Una società cresce e migliora proprio quando i leader parlano al cervello dei loro concittadini, mirando addirittura a educarli. Mi spingerei fino a concludere che in tutte le attività umane il richiamo e il ricorso al cervello debbono essere più frequenti e più elaborati degli appelli alla pancia. Questo è il minimo che i cittadini democratici conseguenti hanno il diritto di pretendere dai politici. La pancia non va esorcizzata, ma il cervello unitamente al cuore, ovvero la responsabilità insieme alle convinzioni, Weber sarebbe d’accordo, deve porsi l’obiettivo di educarla e di guidarla. Altrimenti, sarà deriva populista di basso profilo.