L’ultima volta che sono passato da Trinità dei Monti era Pasqua, tre anni fa. Devo essere stato molto distratto, perché non ricordo una situazione di «pericoloso e inaccettabile degrado» come quella che, da più parti denunciata, ha portato al completo restauro della scalinata. O forse ero troppo preso da una giornata magnifica, come quelle che solo Roma sa regalarti. Lando Fiorini docet. Sicché, senza le polemiche recenti, a pochi giorni dall'inaugurazione del monumento perfettamente restaurato, non avrei saputo – lo ammetto – delle condizioni disastrose in cui era prima dell'intervento generoso da parte di un privato che ha riportato tutto «all’originario splendore».

Subito il dibattito si è acceso: ringhiera sì, ringhiera no? Transenne? Telecamere? Guardie in pattugliamento, specialmente di notte? Certo sarebbe un delitto se uno dei luoghi più belli della capitale tornasse allo stato «di semi-abbandono» (mi fido di chi Roma la conosce bene e la vive e così descrisse Trinità de Monti) precedente il restauro. E c’è da comprendere il ricco finanziatore (un gioielliere sistematosi nei pressi), che mai e poi mai vorrebbe ritrovare le preziose scale del De Sanctis e le fioriere che le adornano di nuovo imbrattate e ricoperte di ogni monnezza a pochi passi dalla propria prestigiosa bottega.

Eppure, allo stesso tempo, viene da chiedersi quale sia il senso ultimo dell’impomatare certi luoghi o del metterli sotto vetro per proteggerne la presunta o reale, a seconda dei casi, fragilità. E in fondo pure se sia giusto farlo. Si tratti di una scaletta qualsiasi o di una scalinata settecentesca dall’inestimabile valore storico-artistico (già restaurata appena dieci anni or sono, peraltro), i luoghi devono comunque essere vissuti e abitati: non è forse proprio questo a renderli vivi e dunque anche importanti? 

Trinità dei Monti è Roma, innanzitutto, seppure una Roma trasformata in maniera quasi irriconoscibile dai tempi in cui la abitava John Keats, la cui casa-museo in Piazza di Spagna è ancora visitabile, sino alla città che tutti rimpiangono immortalata dal bianco e nero di un riminese, per arrivare all’odierno guazzabuglio dominato dal turismo di massa e da tutto ciò che si muove per soddisfarne, nella maniera più remunerativa possibile, i bisogni.

In un simile contesto, i divari tra chi sta sotto e chi sta sopra, tra chi la abita nel cuore storico e nella più estrema periferia, tra i mercanti del lusso e i commercianti del basso costo, sono diventati enormi. Turisti di ogni nazionalità arrivano, spesso per visite mordi e fuggi, e si impadroniscono di ogni metro quadro nelle tappe obbligate del loro irrinunciabile Baedeker elettronico. Tra costoro c’è senz’altro qualche coatto, più o meno disgraziato, più o meno agiato, che non si fa pena di lasciare cicche, gomme da masticare e ogni altro possibile segno del proprio passaggio (pennarelli indelebili e lucchetti restano tra i maggiori responsabili dell’orda vandalica). Ma spesso le cause del progressivo «degrado» sono ascrivibili ai più (quindi a noi) che senza arrivare ai gesti più estremi non trovano (non troviamo) nulla di deprecabile nell’abbonare una lattina di birra lì dove capita o nel buttare a terra una cicca.

Non è casa nostra, d’altronde. Scattiamoci un selfie e non ci pensiamo più.

Ancora, come sempre, il bene pubblico, prezioso o no che sia, non è di nessuno. Salvo forse di chi investe per riportarlo «all’antico splendore». O chi può permettersi di affittarlo, come nel caso degli Uffizi, ceduti per una festa privata, che per qualche ora cessano di essere bene pubblico e diventano bene locabile, a disposizione di chi, invece di noleggiare un elicottero per il proprio matrimonio sceglie con più eleganza di occupare uno dei luoghi più cari agli storici dell’arte di tutto il mondo. Non è la prima volta, d’altronde. Anche il Ponte Vecchio è affittabile (basta avere sessantamila euro), come dimostrò anni fa il sindaco di Firenze di allora che lo cedette alla Ferrari, tra non poche polemiche e molti disagi per i fiorentini. Coatti ed elegantoni vari lo tengano presente, anziché invadere senza ritegno luoghi più adatti allo shopping d’alto livello che non al loro girovagare incolto, danno dell’umanità. Quanto ad educarla, l’umanità, e a portarla ad apprezzare davvero Trinità dei Monti, gli Uffizi, Ponte Vecchio ci penseremo un’altra volta.

Nel frattempo, possiamo consolarci ammirando chi, lo scorso weekend, ha dedicato qualche ora al suo e nostro «mondo», ripulendolo un po'.