San Severino di Centola è un piccolo borgo che domina la Gola del Diavolo, la stretta valle tra il monte Bulgaria e il Monte Fontanelle in cui scorre il fiume Mingardo. Seguendo la strada che costeggia il corso d’acqua, si raggiunge uno dei tratti di costa più noti del Cilento, tra Palinuro e Marina di Camerota.

La mattina di un giorno della settimana di Ferragosto mi trovavo nel bar di San Severino, un paese di meno di cinquecento abitanti, per cercare di sottrarmi per qualche ora al trambusto del litorale e per visitare uno dei più suggestivi borghetti del parco naturale del Cilento. San Severino è infatti un piccolo paese con una lunga storia, che affonda le proprie radici nella nebbia di un lontano passato normanno, e forse longobardo, non privo di un tocco di esotismo per via dell’insediamento in zona di mercenari bulgari al servizio di un principe chiamato Aztek (almeno se si deve prestar fede alle cronache di Paolo Diacono).

Di tutto questo oggi non rimane granché, ma la parte più antica è sicuramente degna di una visita per la presenza di alcuni edifici, e per la singolare circostanza di essere diventato negli ultimi decenni un «paese fantasma». Le frane ricorrenti hanno spinto la popolazione, specie dopo l’apertura di una stazione ferroviaria poco distante, ad abbandonare la cima su cui era arroccato il vecchio borgo, per trasferirsi in abitazioni più recenti – meno belle ma più sicure – costruite a valle. Era dunque in questa San Severino contemporanea, da cui si gode comunque di una vista splendida, che mi ero fermato per chiedere un’informazione. Con un certo disappunto, mitigato dall’esperienza – sono nato e cresciuto al sud, quindi ho un rapporto relativamente sereno con la contingenza – avevo appena scoperto, infatti, che il borgo era chiuso ai visitatori. «Pericolo di crollo» dicono i cartelli, un’altra contingenza. Dopo aver fatto quel che potevo per vedere il borgo dalla strada sottostante, il mio problema era come rientrare a Caprioli, un altro piccolo paese situato sopra Palinuro. La distanza tra le due località non è molta, ma durante il viaggio di andata avevo osservato con umana sollecitudine la fila di diversi chilometri di automobili che occupava la strada nel senso di marcia opposto.

Un altro fine settimana di agosto si avvicinava, e quindi una nuova ondata di bagnanti si riversava sulla costa. Che fare? Passare un paio d’ore in macchina sotto il sole di mezzodì non è una bella prospettiva, nemmeno se hai delle splendide playing list da ascoltare, e poi avevo un appuntamento per colazione. Quel po’ di senso di orientamento di cui sono dotato mi diceva che tra San Severino e Caprioli non c’è una grande distanza, ma non ero sicuro che ci fosse una strada alternativa a quello che avevo appena percorso.

La ragazza del bar sembrava perplessa dalla mia domanda: «un’altra strada? Sì, c’è un’altra strada, ma passa per la montagna, è piena di curve. Meglio di no, la strada è quella di sotto che è più veloce». Cerco di obiettare che vengo da quella parte, e c’è una fila infernale, ma non riesco a fare breccia nella cortese determinazione della mia interlocutrice. Esco dal bar, dubbioso sul da farsi. Ho un fuoristrada, quindi non mi preoccupa troppo fare un percorso accidentato, ma questa è una zona franosa, lo dicono tutti i cartelli, e non vorrei trovarmi a dover fare retromarcia sull’equivalente cilentano di un sentiero andino. Certo, potrei tentare qualche improvvisata ricerca online. Tuttavia, quasi vent’anni di letture sulle guerre per esportare la democrazia in Medioriente mi hanno convinto che è sempre meglio sottoporre i dati satellitari a una verifica con qualcuno che è stato sul campo. Mentre facevo queste riflessioni strategiche sul ciglio della strada, dalla curva poco distante ecco la Land Rover della guardia forestale. Attiro la loro attenzione e rivolgo la stessa domanda fatta al bar. La risposta è completamente diversa: «certo che c’è una strada, è perfettamente percorribile, tranne per un breve tratto. C’è stata una frana, che costringe a una breve deviazione su un percorso non asfaltato, ma con la sua auto non avrà alcun problema». Rompo gli indugi e mi rimetto in moto. Più o meno un’ora dopo, in perfetto orario, raggiungo i miei ospiti per colazione a Caprioli.

Quel che ho visto strada facendo mi ha richiamato alla mente altri viaggi, su altre strade secondarie che percorrono, come una rete di capillari, questa nostra Italia. Bei paesaggi, paesini spesso dall’aria accogliente, che sempre più oggi ospitano b&b ben tenuti. Traffico quasi inesistente, poche auto locali, mezzi agricoli, e qualche vivace famiglia di turisti nordeuropei dall’aria felice, forse increduli che tanta bellezza sia così a portata di mano. Da non economista, mi chiedo se non valga la pena di fare un ragionamento complessivo su questa «piccola bellezza» ancora in larga misura preservata e largamente ignorata da chi trascorre le vacanze nel nostro Paese, e sull’infrastruttura viaria che dovrebbe garantirne l’accessibilità. Sul contributo che un piano di investimenti pubblici sulle strade, e sulla sicurezza idrogeologica, potrebbe dare allo sviluppo economico di un Paese che vive molto di turismo. Vogliamo parlarne?