La transizione confusa dalla Prima alla Seconda Repubblica – a una vera Seconda Repubblica – è a uno snodo importante. Non sono così ottimista come Stefano Ceccanti, il quale asserisce, già nel titolo del suo ultimo libro, che La transizione è (quasi) fini-ta (Giappichelli, 2016). Le transizioni di regime, come gli esami, non finiscono mai. E poi, nel caso in cui la riforma costituzionale venga approvata nel referendum di ottobre, sarà solo il tempo a dirci se una transizione c’è stata e soprattutto se i suoi esiti miglioreranno il funzionamento delle istituzioni democratiche del nostro Paese e le condizioni di vita dei suoi cittadini.

Ma nella storia politica e istituzionale di un Paese ci sono tornanti, svolte, snodi significativi, e la riforma costituzionale di cui parliamo appartiene a quest’ordine di eventi. È la svolta che ci consente di parlare propriamente – come ne parlano i francesi – di Seconda Repubblica, non nel modo improprio in cui ne abbiamo discusso negli ultimi vent’anni, dopo la fine ingloriosa della Prima a seguito della riforma elettorale del 1993 e delle elezioni politiche del 1994. Ed è la svolta che segna l’adattamento, in grave ritardo, della democrazia italiana e del nostro sistema istituzionale a tre passaggi storici epocali, che hanno segnato il contesto politico ed economico mondiale degli ultimi trent’anni.

Il primo è la fine della guerra fredda, del bipolarismo mondiale tra democrazie liberali di mercato e sistemi a partito unico ed economia pianificata. Il secondo è la globalizzazione, preparata alla fine degli anni Settanta del secolo scorso dalla vittoria, nel Paese egemone del mondo occidentale, del regime politico-economico neoliberale sul regime keynesiano che aveva dominato i primi trent’anni del dopoguerra. (Gli effetti della globalizzazione si manifesteranno più tardi, nel corso degli anni Novanta e nel secolo presente, ma l’origine sta nella vittoria di Margaret Thatcher nel Regno Unito e soprattutto di Ronald Reagan negli Stati Uniti, nelle cruciali elezioni del 1979: una vittoria in condizioni di piena democrazia politica, se ci si attiene a una visione schumpeteriana di democrazia.) Il terzo passaggio è l’Unione europea, e in particolare il Sistema monetario europeo: il tentativo di promuovere, per gran parte dei Paesi del nostro continente, un processo di avvicinamento istituzionale e politico-culturale controverso e irto di ostacoli.

Il passaggio storico più importante ai fini della nostra riforma costi-tuzionale è il primo, la fine della guerra fredda. È il più importante perché la Costituzione del 1948 fu scritta sotto l’influenza della guerra fredda appena iniziata: la «cortina di ferro» di cui Churchill aveva parlato nel 1946 nel discorso di Fulton attraversava infatti il nostro Paese in conseguenza della forza, nel dopoguerra e fino al crollo del muro di Berlino, del Partito comunista. 

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