Avrebbero quarant'anni i ragazzi della II A del Salvemini di Casalecchio. Lo so bene perché quel 6 dicembre di 25 anni fa facevo anche io il secondo anno delle superiori. Ricordo perfettamente le immagini di una TV accesa per caso, in un giovedì mattina in cui eravamo stati mandati a casa un'ora prima perché mancava l'insegnante.

Una diretta da una città che somigliava molto a Bologna, con quei tetti rossi sotto a un cielo invernale terso. E il fumo.

Un piccolo aereo militare, un Aermacchi MB 326, si era andato a schiantare sulla succursale dell'Istituto tecnico commerciale Salvemini di Casalecchio di Reno, entrando nell'aula della II A durante la lezione di tedesco e scatenando un incendio. L'aereo era partito da Verona-Villafranca ma all'altezza di Ferrara il giovane pilota, il sottotenente Bruno Viviani, aveva riscontrato un problema al motore. Tentando un atterraggio di emergenza, il pilota si era diretto verso il Marconi di Bologna, ma il motore aveva preso fuoco, Viviani si era lanciato col paracadute, e l'Aermacchi si era infilato tra le case, fino a scontrarsi contro quella parete, oltre la quale c'erano i 16 studenti della II A e la loro insegnante. Ne sopravvissero solo 4, feriti gravemente, e oltre 80 ragazzi e professori della scuola ne uscirono ustionati, intossicati o contusi nel tentativo di salvarsi buttandosi dalle finestre.

Ricordo perfettamente le immagini di una TV accesa per caso, in un giovedì mattina in cui eravamo stati mandati a casa un'ora prima perché mancava l'insegnante

Le immagini di quell'aula nera, dei rottami dell'aereo, del poliziotto con la ragazzina in braccio, della scala appoggiata al muro squarciato della scuola, dei ragazzi scioccati, in lacrime, radunati sul prato, coi volti anneriti, sono in bianco e nero. Nel 1990 le pagine dei giornali erano ancora così. Ma i filmati, e i ricordi, questa volta, sono a colori.

Il processo per disastro colposo e omicidio colposo plurimo contro il pilota e i suoi superiori, che avevano suggerito di tentare l'atterraggio a Bologna invece che indirizzare l'aereo verso il mare, dopo una prima condanna a due anni e sei mesi, si risolse con un'assoluzione in appello, «perché il fatto non costituisce reato». Di fronte a questa sentenza che rubricava l'avvenuto nella categoria di «incidente», le vittime e i famigliari dovettero pagare le spese processuali allo Stato, a norma di legge. Quello stesso Stato che aveva difeso con la propria avvocatura gli imputati dell'Aeronautica. E quello stesso Stato che non aveva scelto, attraverso il proprio Ministero dell'istruzione, di presentarsi come parte civile insieme agli studenti, il corpo docente e non docente di un proprio Istituto tecnico commerciale.

Di fronte a questa sentenza che rubricava l'avvenuto nella categoria di "incidente", le vittime e i famigliari dovettero pagare le spese processuali allo Stato, a norma di legge

L'associazione delle vittime del Salvemini si è fatta promotrice, in questi venticinque anni, di iniziative sul tema della tutela e sostegno delle vittime e sulla sicurezza dei voli, unendosi alle proteste contro il sorvolo delle zone abitate da parte di aerei militari in addestramento. In particolare ha portato avanti una proposta di legge per tutelare e assistere le vittime dei reati. Riuscendo ad andare oltre alla richiesta di giustizia relativa al proprio caso, le vittime e i loro famigliari hanno promosso un progetto di giustizia assoluta. Perché i cittadini vorrebbero credere in uno Stato che li tuteli.

Dopo un dibattito parlamentare, la proposta si è arenata.