I mostri, scriveva il sociologo Sergio Brancato, «sono gli indicatori sensibili, sul piano dell’immaginario, delle fasi di trasformazione globale della società». L’irruzione del mostro nell’habitat umano rappresenta la sovversione delle leggi naturali, una minaccia per la società e un’obiezione alla nostra capacità di porre un limite al caos. A questo proposito è interessante notare come uno dei più influenti scrittori dell’orrore del XX secolo, H.P. Lovecraft, si sia fatto ispirare per i suoi mostri più famosi dalla paura suscitatagli dai migranti: italiani, ebrei e neri che invadevano il porto di New York nei primi decenni del Novecento.

L’ondata di terrore che ha sconvolto l’Occidente l’11 settembre 2001 ha provocato negli anni seguenti, sul piano dell’industria culturale, una produzione incredibile di pellicole a tema fantastico e soprannaturale (si pensi ad esempio alle grandi saghe che hanno portano sullo schermo famosi eroi di carta come l’Uomo ragno, Captain America, Hulk, Thor, Batman, X-man e Avengers), tanto che negli ultimi vent’anni questi generi si sono imposti con forza nell’immaginario collettivo come chiave di lettura privilegiata per interpretare una realtà frammentata e difficilmente codificabile. Vampiri e zombie, fantasmi e alieni hanno conquistato il cinema e la televisione con film e fortunate serie TV; inoltre, nell’ultimo ventennio, abbiamo assistito alla riabilitazione di un genere poco frequentato dall’industria culturale occidentale, il disaster-movie. Al centro di questo genere si trova la relazione tra il mostro, solitamente gigantesco (magari venuto da un modo perduto e antichissimo, come King Kong), e la metropoli, simbolo archetipo dell’ordine, della necessità, per l’uomo, di fissare quei limiti che invece il mostro, con la sua deformità e il suo eccesso, mette in discussione.

L’ossessione per il mostro come oggetto di consumo non è nuova, basti pensare, ad esempio, alla nutrita tradizione di science fiction sviluppatasi soprattutto nel secondo dopoguerra, e non solo in America. Tuttavia, dagli anni Duemila l’immaginario legato ai bistrattati b-movie diventa oggetto dell’attenzione di massa. È significativo che nel 2005 Peter Jackson, reduce dal successo della trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli, giri una nuova versione proprio di King Kong, “la grande scimmia”, nella cui tragedia Alberto Abruzzese vedeva già profeticamente abbozzata la catastrofe che colpirà il cuore di Manhattan nel 2001. La pellicola, ispirata al libro di Edgar Wallance, nella versione originale del 1933 rifletteva sulla possibilità di una nuova era barbarica dopo il crollo della borsa del 1929, così come la pellicola di Jackson si colloca alle soglie della crisi economica avviatasi in America nel 2007. Se nel 1933 King Kong dava il via alle pellicole sui mostri, riflettendo l’inquietudine dell’occidente, il King Kong del 2005 apre una stagione cinematografica in cui la figura del mostro incarna un nuovo e possibile crollo del mondo.

Nel 2006 è il turno dell’interessante The Host di Bong Joon-ho, film coreano in cui, sullo sfondo della lotta tra un mostro acquatico mutante e una famiglia, viene messa in scena l’onnipresenza militare americana e il ruolo della Corea del Sud nello scenario globale. Nel 2008 J.J. Abrams, creatore delle serie culto Lost, presenta lo sperimentale Cloverfield, girato interamente con una telecamera a mano, che documenta la notte di paura di un gruppo di persone in una New York sotto l’attacco di un misterioso mostro venuto dal mare. Il film è preceduto da una studiata campagna virale incentrata su un falso disastro ambientale che sfrutta la paura post-11 settembre. Nel 2010 il britannico Monsters (G. Edwards) riflette sulle barriere comunicative tra esseri umani attraverso la storia di una coppia costretta, per rientrare negli Usa, ad attraversare una vasta zona del Messico infestata da gigantesche creature aliene. Nel 2015 il sequel, diretto da T. Green, The Dark Continent, colloca le vicende di una squadra di militari statunitensi e la loro lotta contro le creature aliene nel contesto del conflitto mediorientale. Nel 2013 il regista messicano Guillermo del Toro pubblica Pacific Rim: l’umanità deve affrontare la battaglia contro i Kaiju (mostri giganteschi provenienti da un’altra dimensione) a bordo degli Jaeger, imponenti robot da combattimento. Il 2014 vede anche il ritorno del re dei mostri cinematografici, Godzilla, con il remake americano della famosa serie giapponese iniziata negli anni Cinquanta, firmato dallo stesso regista di Monsters. Va ricordata inoltre l’uscita imminente del film di Ron Howard Heart of the Sea, sulle origini del grande leviatano moderno, Moby Dick, mentre a metà dicembre in tutto il mondo la battaglia tra bene e male riprenderà nella nuova trilogia di Star Wars diretta da J.J. Abrams.

L’interesse quasi ossessivo per questo genere di temi evidenzia come, soprattutto oggi, la società occidentale abbia bisogno di dare forma alle proprie paure e di esorcizzare i possibili scenari della propria fine. Eventi come gli attentati terroristici, che colpiscono i cittadini ferendo così l’intera città e ciò che questa rappresenta, traducono sul piano della realtà l’irruzione destabilizzante del mostro, che risulta però insopportabile, poiché non mediata da alcun tipo di narrazione che possa aiutare gli individui ad inserire tali fatti in una cornice di senso. Un’opera d’immaginazione come un film non potrà mai sostituire gli sforzi della politica internazionale e della cooperazione tra Stati, ma forse può costituire un valido strumento di auto-analisi per valutare la nostra posizione nei confronti del nemico che si vuole combattere. I film sui mostri, infatti, hanno questo in comune: ci dicono che la catastrofe non è frutto di un destino ma piuttosto di scelte sbagliate, magari condotte in forza di quell’ordine necessario per gettare le fondamenta della grande città che i mostri verranno a distruggere.