Cinquecento milioni per la difesa e per le esigenze strategiche. Che cosa significa? Come verranno spesi questi soldi?

Avevamo chiesto al presidente del Consiglio un intervento, un annuncio che dicesse che si doveva investire sulla sicurezza. In particolare, noi chiedevamo un potenziamento per quanto riguarda l’intelligence e le tecnologie. Mi sembra che, su questo versante, ci dica che qualche risorsa verrà reperita: ce lo auguriamo, perché questa è una battaglia che si combatte oggi, non la combatte solamente il nostro Paese, e deve fondarsi su un reperimento di risorse anche nell’ottica di contrasto a un fenomeno, che è quello del terrorismo, di sempre più vaste dimensioni. Un fenomeno che si può contrastare efficacemente con le risorse proprio nel campo della conoscenza, dell’intelligence e, oserei dire, anche aumentando quelle che sono le capacità tecnologiche che oggi le polizie, sempre più, devono mettere in atto.

Questo perché abbiamo un deficit dal punto di vista tecnologico?

Il problema è che noi dobbiamo affinare sia la collaborazione, sia lo scambio info-investigativo tra le diverse polizie; la conoscenza è indispensabile. Oggi chi semina il terrore si avvale di sofisticate strumentazioni tecnologiche e scientifiche e lo dobbiamo fare anche noi. Basti pensare che uno dei canali su cui il terrorismo fonda le proprie azioni è proprio il tentativo di seminare panico e terrore. Anche un proclama che viene mandato in Rete può fare la differenza e costringere le persone a cambiare le proprie abitudini. Noi abbiamo bisogno di essere in prima linea anche su questo fronte, quello del cyber-terrorismo, per contrastare il fenomeno.

Questo è forse l’aspetto più concreto. Si parla di 150 milioni di euro di investimenti nella cosiddetta “cyber sicurezza”. Invece per quanto riguarda il resto della cifra a disposizione, il presidente del Consiglio è rimasto sul vago. Voi avete qualche notizia ulteriore rispetto a come verranno effettivamente spesi questi soldi? Lei dice “investire in tecnologia”: che cosa intende?

Abbiamo delle idee anche noi, speriamo che non si tratti solamente di una mera militarizzazione del territorio, perché ne abbiamo bisogno sì, ma non è solo questo. Penso che tutta l’attività di intelligence che si svolge nel monitorare il web oggi sia assolutamente indispensabile, perciò abbiamo bisogno di computer, di apparati che spesso non esistono all’interno delle Questure. Pensi che la Questura di Roma non riceve da cinque anni un nuovo pc, e questo la dice lunga anche su come noi siamo in difficoltà ad affrontare un fenomeno simile. Non solo. Sono circa sei anni che si fanno tagli alla sicurezza e non si investe su di essa, l’esatto contrario di quello che si dovrebbe fare. L’età media dei poliziotti è di circa 47 anni e negli ultimi quattro anni il loro numero è sceso di 12.000 unità, 5.600 unità per la sola Polizia di Stato.

Renzi ha detto “non bisogna stare negli uffici, bisogna uscire per strada”. Come valuta queste parole?

Guardi, anche questo è un aspetto molto relativo, nel senso che l’intelligence è anche il livello di contrasto al crimine, che sia di tipo tecnologico e informatico, e lo si fa anche negli uffici, quindi non è solo un problema di presenza all’esterno. È chiaro che bisogna investire anche su una presenza sempre più capillare, ma lo si deve fare, ripeto, investendo su personale giovane e con risorse adeguate, cosa che da molti anni non avviene.

Il programma che lei delinea è molto ampio: bastano i soldi che sono stati annunciato?

È vero, il programma è molto ampio. Bisogna vedere dove verranno allocate queste risorse, perché non è sufficiente presidiare un’ambasciata con la forza militare, è anche necessario sviluppare quei sistemi di intelligence potenziando gli apparati investigativi e tecnologici affinché noi si possa essere in prima linea in maniera sempre più efficiente e moderna per il contrasto a questo nuovo fenomeno, che ha anche molti aspetti imprevedibili e che non riguarda solo il nostro Paese, perché pianificare un attentato nel nostro Paese è diverso se lo si pianifica all’estero.

In che senso è diverso?

Perché se c’è una pianificazione all’estero c’è bisogno che le informazioni, che devono essere essenziali, ci giungano per tempo e siano tali da poter prevenire e contrastare il fenomeno. Quindi lei capisce che non possiamo affidarci meramente alla sola nostra intelligence.

Questi soldi che vengono annunciati sono relativi a investimenti che, immagino, dovranno essere applicati nel tempo: non è che da domani mattina, immediatamente, si avranno a disposizione le strumentazioni, le risorse ecc. E invece questa minaccia viene considerata una minaccia immediata. Quindi la domanda che si stanno facendo tutti è: nel frattempo cosa si fa?

Nel frattempo bisogna capire la reale entità di questi investimenti e bisogna capire anche dove il presidente del Consiglio ha intenzione di allocare queste risorse, che non possono essere solamente quelle relative al controllo statico degli obiettivi, ma devono svilupparsi anche in un’ottica di mantenimento dell’attuale intelligence, il cui livello è buono per quanto attiene al nostro Paese, ma necessita di essere sviluppato in accordo con le altre Polizie internazionali. Servono dunque una serie di sistemi che ci consentano di avere in tempo le informazioni necessarie a contrastare i fenomeni terroristici.

Siamo coperti in questo momento dal punto di vista della sicurezza?

Una minaccia specifica al momento viene esclusa, ma è aprioristicamente impossibile fare una previsione del genere, perché come abbiamo visto il fenomeno è imprevedibile ed è a 360 gradi. Sono convinto che si stia facendo un buon lavoro, comunque ognuno farà del suo meglio e credo anche che le persone non debbano cambiare il loro stile di vita. Certo è che bisogna, quando è il momento di denunciare le disfunzioni, farlo e allo stesso tempo dare indicazioni importanti quali il potenziamento dell’intelligence e degli apparati anche a livello tecnologico, investire nella sicurezza con più fondi e più risorse, immettendo nuovo personale più giovane che possa svolgere i servizi di presidio e controllo delle città all’esterno degli uffici, e una maggiore prevenzione.

Un’ultima cosa: ottanta euro per tutti gli operatori delle forze di Polizia?

Questa è una richiesta che abbiamo fatto al presidente del Consiglio, immettere delle risorse nella specificità. La legge 183 lo prevede, se questo verrà fatto significherà dare un piccolo riconoscimento alle donne e agli uomini in divisa, che ogni giorno lavorano con sacrificio per assicurare la sicurezza del nostro Paese. Non è tantissimo, però potrebbe essere un segnale, laddove questi ottanta euro di cui si parla saranno effettivi, sempre al netto o al lordo della loro consistenza; ma già qui un segnale viene dato a chi ha un contratto bloccato ormai da sei anni.

 

 

[Questa intervista è stata raccolta e trasmessa da Radio Popolare]