«Nessuna tolleranza per chi mette in dubbio la dignità di altri uomini e non è pronto ad aiutare quando è richiesto da umanità e diritto». Queste sono le parole chiare e forti pronunciate da un capo di governo incurante delle contestazioni e degli insulti. E alle parole sono seguite iniziative molto concrete. Questa è la cancelliera Angela Merkel. La Germania accoglierà tutti i profughi dalla Siria, anche quelli entrati nell’Ue dall’Italia, dalla Grecia, dall’Ungheria. In deroga alla norma (cosiddetta di Dublino) secondo cui i profughi dovrebbero rimanere nel Paese di arrivo. Non è un dettaglio burocratico: è la correzione ragionevole di una norma fissata a suo tempo, in modo astratto e formalistico, che si è rivelata di fatto contraria ai criteri di «umanità e diritto», di cui – in teoria – va fiera l’Europa.

La tragedia della migrazione di massa, cui stiamo assistendo impotenti, ha spalancato l’abisso tra i principi cui ci appelliamo e la nostra incapacità di rispondervi concretamente. Sappiamo perfettamente quanto sia difficile trovare risposte pronte e adeguate. Ma come è stato possibile trovarci così impreparati, dopo tanti segnali di premonitori di avvertimento?

È umiliante leggere le cifre degli arrivi, le condizioni in cui sono costretti a vivere coloro che ce l’hanno fatta, la loro voglia di raggiungere le località desiderate, il numero (stimato) degli «spariti». Tutto questo a fronte della scarsità delle risorse a disposizione, anche perchè continua a dominare la convinzione che ogni euro speso per sistemare i profughi è rubato ai cittadini. Se lo è sentito urlare contro anche la cancelliera Merkel, con toni ancora più brutali perché accompagnati dall’accusa di «tradimento del popolo». Nulla di nuovo in questa Europa.

La decisione della cancelliera Merkel è stata salutata con soddisfazione dalla Commissione Ue che ha in programma di lanciare presto una politica comune dell’immigrazione. Se ne parla da tempo. Speriamo che non ci riservi l’ennesima delusione fatta di sole affermazioni generali, o anche solo di norme di regolamentazione selettiva più efficienti, o semplicemente di criteri vincolanti per tutti nella distribuzione dei legalizzati. Occorre un investimento di risorse materiali e culturali di grande proporzioni di cui la classe politica di tutto i Paesi non sembra rendersi conto, convinta com’è che in fondo si tratta una emergenza temporanea anziché di sommovimenti geo-politici profondi che mettono alla prova anche la nostra civiltà. È una sfida politica di prima grandezza.

Non mi è chiaro se il gesto di Angela Merkel, con tutta la forza simbolica che ha innanzitutto nei riguardi dei suoi concittadini tedeschi, vada in questa direzione. Se ha intenzione di incidere direttamente nella politica europea in tema di migrazione. O si limiterà a dire «fate come noi» – come ha dichiarato in altre circostanze. La Germania come nazione di riferimento. Da qualche tempo nel dibattito pubblicistico tedesco è in atto una cauta riabilitazione del concetto di egemonia tedesca (respinta nettamente da un vecchio politico tradizionale come Wolfgang Schaueble). Egemonia intesa come sinonimo di responsabilità verso gli altri membri dell’Ue. È una elegante soluzione – purché non rimanga solo nominalistica. La sfida della migrazione offre il banco di prova.

 

[Questo articolo di Gian Enrico Rusconii è uscito su «La Stampa» del 27 agosto 2015]