Anche in Puglia, come nell’intero Paese, il vincitore occulto delle elezioni regionali è l’astensionismo. La vena astensionista dell’elettorato non accenna a placarsi. Con una crescita di ben 12 punti percentuali nel giro di 5 anni (dal 37% a quasi la metà dell’elettorato), questo fenomeno è ormai molto di più di un campanello d’allarme per il sistema dei partiti. Esso andrebbe, almeno in parte, derubricato dalla casistica della disaffezionee accolto nel classico gioco di rimandi tra defezione (exit) e protesta (voice), dove la diserzione delle urne nasconde una critica severa nei confronti della politica. Al netto di questo problema, peraltro sistematicamente ignorato dopo i generici allarmi di rito, la corazzata Emiliano ha stravinto, come da pronostico, le elezioni regionali in Puglia. Il “sindaco di Puglia” ha stracciato un centrodestra indebolito e, com’era già accaduto nel 2010, spaccato in due come una mela. Con la differenza che, mentre cinque anni fa, se fosse stato unito, il suo candidato avrebbe quasi certamente vinto contro Vendola, oggi con tutta probabilità non ce l’avrebbe fatta ugualmente a spuntarla, tanto è grande la distanza tra i voti conquistati da Emiliano (47,1%) e quelli ottenuti dai due candidati di centrodestra (che,insieme, fanno meno del 33%). Tuttavia, sebbene Emiliano fosse al tempo stesso il candidato del centrosinistra e il segretario regionale del Pd, questo partito non pare abbia tratto giovamento da questa sovrapposizione di ruoli, se si considera che ha perso per strada più di 243 mila voti, cioè 15 punti percentuali rispetto alle elezioni europee del 2014. È vero che, a differenza delle elezioni europee, in quelle regionali appena concluse il Pd è stato affiancato da una serie di liste personali che hanno ottenuto un buon risultato (oltre il 13% nel complesso), ma è altrettanto lecito chiedersi se questi voti siano automaticamente sommabili a quelli del Pd. In ogni caso, anche se si limita il confronto con le elezioni regionali precedenti, il Pd ha perso quasi 104 mila voti (-2%). 
All’interno dell’alleanza di centrosinistra spicca anche l’eclissi della sinistra vendoliana. Sinistra ecologia e libertà passa dal 9,7% del 2010 (e dal 15,3%, se ai voti di Sel si aggiungono quelli di una lista di sostegno che in queste elezioni è confluita con Sel in “Noi a sinistra per la Puglia”) ad un modesto 6,5% attuale. Un commiato non certo entusiasmante per l’ispirato cantore della “Puglia migliore” dell’ultimo decennio. 
Accanto a quello dell’astensionismo, un buon risultato in Puglia è quello conseguito dal Movimento 5 Stelle, che ha piazzato al secondo posto sia la sua candidata alla presidenza (con il 18,4%) che la propria lista (con oltre il 16%), a poca distanza dal Pd che, nonostante tutto, si riconferma primo partito della regione. Un successo ragguardevole, quello del M5s, anche se questo risultato non traspare dai numeri (alle elezioni europee dello scorso anno aveva ottenuto circa il 25% dei voti), quanto dal fatto che è stato ottenuto in elezioni amministrative di carattere regionale e praticamente senza la presenza di Grillo. Il risultato del M5S sembra segnalare una progressiva autonomia del movimento dal padre fondatore, un significativo radicamento nei territori e l’esistenza di embrioni di classe dirigente anche in periferia. 
Nonostante i non pochi punti di debolezza, soprattutto all’interno del suo partito, Emiliano esce ingigantito dalla competizione elettorale regionale. Più di qualsiasi altra, la sua affermazione segnala la crisi dell’effetto Renzi sulle competizioni elettorali e testimonia che il giovane fiorentino ha perso laddove ha candidato i suoi fedelissimi (come in Liguria e Veneto), mentre ha vinto nelle regioni in cui si sono presentati candidati non renziani. 
E Michele Emiliano certamente non lo è. O meglio, il nuovo governatore della Puglia ha una postura decisamente renziana nel piglio tribunizio e nell’attitudine al personalismo; quanto Renzi appare decisionista e incline al comando più che al governo. Forse è addirittura più populista del suo leader nazionale. Ma, al contempo, la sua autonomia dal premier è manifesta e riconosciuta. Non meno spregiudicato di Renzi, rispetto a questi l’ex magistrato barese appare dotato di maggiore sagacia tattica e capacità di manovra: non a caso è riuscito a compattare dietro la sua candidatura quasi tutta la sinistra, non pochi personaggi provenienti dalla destra e, appena eletto, non ha esitato ad aprire ai pentastellati, offrendo loro un assessorato nella nuova Giunta. Infine, tra i due vi sono differenze evidenti anche sui contenuti: almeno a parole, Emiliano ha spesso scavalcato Renzi a sinistra (per esempio, su Ilva, Tap, riforma della scuola, politiche per il Sud), ma talvolta anche a destra, accostandosi per esempio alle posizioni della Lega in tema di immigrazione. 
Insomma, Renzi, che ha sempre visto Emiliano come il fumo negli occhi, farebbe bene a non abbassare la guardia perché, nonostante i toni concilianti di queste prime ore, il nuovo governatore pugliese annusa nell’aria che la leadership di Renzi potrebbe diventare presto contendibile. E, se la stella renziana dovesse tramontare, non è difficile immaginare che Emiliano si senta il più indicato a prenderne il posto.