Siamo a un punto di svolta del dramma greco. Nel corso di maggio il governo Tsipras dovrebbe ripagare due rate dei prestiti che gli sono stati concessi dal Fondo monetario, e altre scadenze più impegnative seguono d’appresso, nell’estate. Ma non ha le risorse per farlo, a meno di non rimangiarsi le promesse di allentare le condizioni di austerità cui la Grecia è sottoposta e che già sono costate la perdita di più di un quinto del suo reddito nazionale. I creditori, la cosiddetta Troika (Fondo monetario, Commissione europea e Banca centrale europea), insistono però sul pieno rispetto delle condizioni sulla base delle quali i crediti erano stati concessi al precedente governo. E la Bce esita, in questa situazione, a fornire ulteriore liquidità di emergenza. La Grecia non respinge un programma di riforme strutturali severe: respinge quelle imposte dalla Troika al governo Samaras, sia sulla base dei risultati disastrosi che esse hanno prodotto, sia del mandato che il governo Tsipras ha ottenuto dagli elettori. I negoziati sul nuovo programma sinora non sono andati a buon fine, un’estensione dei crediti o la liquidità necessaria a ripagarli non sono in vista, il rischio di un default sempre più minaccioso.

Questo è il modo più breve in cui la storia può essere raccontata: un’analisi meno sommaria è contenuta nell’articolo di Marco Pagano che pubblicheremo nel prossimo numero della rivista. Che cosa può succedere se sia il governo greco, sia i creditori tengono duro sulle loro posizioni? Quali sarebbero le conseguenze di un default, del rifiuto della Grecia di ripagare il suo debito nei tempi e con le modalità concordate? È preoccupante notare come il partito dell’austerità, capitanato dal ministro delle Finanze tedesco Schäuble e dagli economisti a lui vicini, stia da tempo minimizzando le conseguenze negative che un default avrebbe sulla tenuta dell’Unione monetaria e sulla situazione economica dei Paesi che ne fanno parte – salvo la Grecia, ovviamente - e stia invece sottolineando quelle conseguenti ad ulteriori concessioni non accompagnate dal rispetto dei vecchi patti. Se così avvenisse – questo è il ragionamento – tutti i Paesi in difficoltà avrebbero un interesse a non rispettarli e l’Unione monetaria non reggerebbe a lungo in condizioni di «moral hazard», come gli economisti definiscono questa situazione di incentivi perversi. Per fortuna la cancelliera tedesca finora ha resistito a questa interpretazione e teme - a mio avviso giustamente - che le conseguenze di un default greco e dell’uscita della Grecia dall’Unione monetaria («Grexit») sarebbero assai più gravi.

Molte analisi economiche serie sostengono queste preoccupazioni (si vedano ad esempio le Macro Keys dell’ufficio studi della banca Ubs dell’8 febbraio e del 14 aprile, dedicate alla Grecia), anche se in situazioni di questa complessità politica ed economica i margini di incertezza restano molto ampi. A meno di decisioni al momento imprevedibili, credo (e temo) che nel giro poche settimane i fatti ci diranno chi ha ragione. Dum Romae (…o a Bruxelles) consulitur, Saguntum expugnatur.