Facciamo un esperimento mentale. Immaginiamo di essere degli studiosi di sociologia interplanetaria, che si occupino di capire, venendo da un altro mondo, che cosa spinga giovani umani dai tre ai diciannove anni a entrare in edifici tutti tra loro simili, intrattenervisi con umani adulti che parlano e scrivono alla lavagna, per poi uscirne, dopo cinque, sei o dieci ore. E questo si ripete ogni giorno, feste escluse, da settembre a giugno. Tutti gli anni. Milioni e milioni, ogni giorno, da più o meno centocinquant’anni. Ne dedurremo probabilmente trattarsi di una sorta di rito aggregativo di grande valenza simbolica, dotato di una compattezza e di una tenuta storica straordinarie, al quale intere macrocomunità aderiscono con puntuale costanza, generazione dopo generazione. L’istituzione più solida e durevole, in società per ogni altro verso perturbate, a legami deboli o debolissimi, dove null’altro (lavoro, valori, famiglia) appare saldo e al riparo da processi non governati di proteiforme cambiamento, fino alla liquefazione. Paolo Ferratini Che cosa non dovremmo chiedere alla scuola Da una serie di focus group con colleghi terrestri italiani (tra tutti i Paesi che potevano capitarci, caso ha voluto che finissimo proprio in Italia), apprendiamo invece con sorpresa che la scuola – così si chiama – sta attraversando da tempo una crisi profonda, che non è più «in sintonia» con il resto della società, che ha perduto la sua funzione di mediatore culturale tra mondo adulto e mondo giovanile, si è disancorata dalle dinamiche del lavoro e sopravvive a se stessa, avendo ormai smarrito la propria missione, incapace di rinnovarsi. A questo punto, chiediamo ai nostri gentili e facondi interlocutori come mai un’agenzia così screditata e inefficace non si consumi da sola, non veda assottigliarsi anno dopo anno il numero di chi la frequenta; come mai, al contrario, seguiti a registrare un’adesione così totalitaria e indefettibile in ogni strato della popolazione, anche fra coloro che ne criticano le insufficienze e ne denunciano le inadeguatezze. Ci guardano dubitosi. Facciamo ritorno al nostro pianeta. Fine dell’esperimento.

Riproduciamo qui l'incipit dell'articolo di Paolo Ferratini pubblicato sul “Mulino” n. 1/15, pp. 39-45. L'articolo è acquistabile qui.