In un angolo di Piazza della Loggia, a Brescia, c'è un monumento di piccole dimensioni: una colonna su cui poggia una lapide in marmo rosso con incisi otto nomi e una data, il 28 maggio 1974. Quel giorno di quarant'anni fa si erano dati appuntamento in piazza i sindacati e il comitato unitario antifascista per una manifestazione di risposta agli attentati che già avevano colpito la città. Proprio durante il comizio di Franco Castrezzati, riecheggia un'esplosione.

Esiste una registrazione sonora di quel momento, un documento raro, per allora, che quasi stupisce a pensarlo adesso, ora che abbiamo immagini e filmati in presa diretta di ogni momento, anche dei più terribili. Esistono anche molti scatti fotografici dei minuti successivi allo scoppio della bomba: immagini che mi sono sempre parse più insostenibili di quelle di altre stragi. A lungo ho pensato che fosse per la presenza dei corpi delle vittime, poi ho capito che quello che le rende ancora più gravi allo sguardo è la presenza dei vivi, i sopravvissuti, quelli che erano solo a pochi passi e che abbracciano i corpi dei loro cari con espressioni incredule.

Per ricordare la strage viene chiesta una reazione immediata al mondo dell'architettura, tradizionalmente chiamato a colmare l'esigenza di commemorazione pubblica. Ma i fatti del Novecento avevano già mostrato la difficoltà di interpretare la morte di massa e quella dei civili: la tradizionale forma monumentale, nata per condottieri ed eroi, come può cimentarsi con qualcosa di così sconvolgente? Se queste sono le premesse, le stragi e gli attentati che attraversano le città in tempo di “pace” rendono la richiesta ancora più complessa.

Limitandosi al caso delle stragi e degli attentati che hanno scosso l'Italia repubblicana, i tentativi di risposta di architetti e artisti hanno prodotto un ventaglio di tipologie: dalle semplici lapidi agli interventi paesaggistici (come a Portella della Ginestra o a Bascapé, per Enrico Mattei), dalla conservazione di luoghi e oggetti simbolici (la stazione di Bologna) alla creazione di luoghi (è il caso del Museo per la memoria di Ustica, con il relitto-reliquia del Dc 9 Itavia).

In Piazza della Loggia venne chiamato per interpretare il difficile tema l'architetto Carlo Scarpa: i primi disegni sviluppavano un progetto “indiziario” a partire dalle tracce dello scoppio e delle sue conseguenze. Veniva conservata e sottolineata, con una doratura, la sbrecciatura nel pilastro dove era stata posta la bomba e otto tronchi di colonna, spezzati, erano posti a terra segnando le posizioni degli otto corpi. In questo modo il monumento si espandeva dal pilastro del portico e la vicina fontana verso un punto più avanzato nella piazza, dove era stata scagliata una delle vittime. Un sottile canale in bronzo doveva fare scorrere un filo d'acqua da una colonna all'altra fino a una vasca trapezoidale. Le successive elaborazioni declinavano un tema più classico: quello di un recinto, uno spazio di meditazione e commemorazione isolato e allo stesso tempo contiguo al passaggio di pedoni e, allora, automobili.

In vista del secondo anniversario, venne chiesta a Scarpa la realizzazione di un memoriale temporaneo: è quello che possiamo vedere ancora oggi, la stele accanto al pilastro e la lapide coi nomi, cui si aggiungerà l'anno successivo una struttura leggera in legno e ottone dove appoggiare i fiori. Un monumento minimale, che nasce dall'osservazione della piazza, della sua vita quotidiana e delle ritualità generate dalla strage.

Cesare Trebeschi, padre di una delle vittime, in una lettera al sindaco aveva avanzato una proposta ancora più essenziale, intima e incisiva, in cui “la sbrecciatura del pilastro fosse lasciata intatta e che nello stesso pilastro fosse scolpita la data del 28 maggio 1974, niente più; soltanto una piccola buca nella pavimentazione che potesse contenere, completamente nascosto e non affiorante, un recipiente per la posa dei fiori recisi che dovrebbero figurare di scaturire spontaneamente; che una lastra di porfido rosso sostituisse la pietra sulla quale fu scaraventato il corpo di mio figlio Alberto, dove morì mia nuora Clementina e per tutta la superficie che di rosso fu bagnata dal sangue delle vittime e dei feriti. Di porfido rosso fosse pure il basamento della fontana, divenuta celebre, dove furono scaraventati e ammucchiati i corpi dei colpiti dallo scoppio e su questo basamento scolpiti i nomi dei caduti” (riportato in B. Bardini e S. Noventa, 28 maggio 1974. Strage di Piazza della Loggia. Le risposte della società bresciana, Casa della Memoria, Associazione familiari delle vittime, 2008, p. 82).

Dalla piccola stele ai fiori e il pavimento rosso: alla ieraticità e alla lunga durata del monumento antico sembra essersi sostituita l'essenzialità del segno memoriale e la lunga durata dei processi contemporanei. Quarant'anni dopo, Piazza della Loggia attende la celebrazione di un nuovo processo.