Piaccia o non piaccia, adesso la sinistra ha un nuovo capo. Onore a tutti coloro che ci hanno creduto sin dalla prima ora e a chi, smentendo molte previsioni, ieri è andato ancora una volta (o per la prima volta) a esprimere il proprio voto. La notizia della vittoria di Matteo Renzi con questi numeri, sia in termini di partecipazione sia in termini di preferenze rispetto agli altri due candidati, è una buona notizia per tutti gli uomini di buona volontà politica. Una nuova leadership, forte se non altro grazie a una investitura così decisa, è infatti un fatto positivo in un panorama politico come quello italiano sclerotizzato e schizofrenico. Anche per chi non ha mai creduto nella proposta politica renziana e non si è fidato del nuovismo strillato con rara efficacia.

In attesa di conoscere le analisi di dettaglio sul voto di ieri (sarà interessante capire, ad esempio, quanti hanno votato per la prima volta e quanti invece tra coloro che preferirono Bersani si sono lasciati convincere a rientrare sul sindaco di Firenze), resta il dato di una partecipazione molto ampia (su cui interviene nella sua analisi Luciano Fasano) che, come già era accaduto in passato, dà ossigeno a chi crede prima di tutto alla necessità di porre rimedio alla crisi della rappresentanza politica. Non è certo un caso se, nel suo discorso di ieri sera, come sempre molto americano e ancora troppo povero quanto a contenuti, Matteo Renzi è partito lancia in resta contro il VDay genovese di una settimana fa. “Noi” siamo la politica e con la politica si costruisce. “Noi” da adesso in avanti costruiremo. A nulla serve demolire. Uno schema tanto semplice quanto efficace, almeno quanto quello movimentista che ha fatto la fortuna dei populismi nell’era dei social «“noi” buoni, antipolitici, contro “loro” cattivi, politici”». Se nel corso della mai nata Seconda repubblica – et voilà, già si pensa alla Terza – il rapporto tra elettori ed eletti si è incrinato profondamente, dal voto di ieri può nascere qualcosa di buono al di là della nostra preferenza per Renzi o per un altro leader politico. Ma, come sempre, ci sono molti ma.

Venendo via via dal più generale al più particolare, il primo “ma” è la capacità del nuovo leader di smentire tutti coloro che, spesso utilizzando argomenti altrettanto vaghi, hanno accusato Renzi e i renziani di non argomentare con sufficiente dettaglio una proposta politica. Rischiando, in questo modo, di adottare stili tipici di un certo populismo in grado, anche grazie a una indiscutibile ars oratoria, di catturare rapidamente consensi, ma meno capace di operare scelte nette e compromettenti per la futura azione di governo. Subito dopo, viene il nodo del rapporto con l’attuale governo. Se la maggioranza dell’elettorato renziano è contrario alle larghe intese, quanto la nuova leadership del Partito democratico potrà sostenere l’esecutivo guidato da Enrico Letta? Detto in altri termini, si tratterà di vedere quanto la logica emergenziale su cui continua a reggersi l’attuale, improbabile compagine governativa potrà giustificare il sostegno da parte di un Pd che, da oggi, dichiara di essersi scrollato di dosso la vecchia classe dirigente e, con essa, le sue logiche. Sul punto incide non poco, e qui chiudiamo, l’ultimo “ma”. Discende direttamente dall’ingresso in campo della Corte costituzionale cui, suo malgrado a mio giudizio ma non a giudizio di alcuni autorevoli costituzionalisti, è stato chiesto di pronunciarsi riguardo alla legge elettorale. In attesa di conoscere le motivazione, ma servirà ancora qualche settimana, chi oggi ha il pallino in mano dovrà partire da qui, senza tentennamenti e con molta chiarezza.

Molto dunque dipenderà dal Pd e dal suo nuovo segretario. E da questa partita si capirà subito quanto potrà reggere senza vacillare troppo il rapporto tra il segretario del partito e il capo del governo. Infatti, come ha sostenuto Arturo Parisi in una bella intervista rilasciata qualche giorno fa a “Europa”, se il “governo dimostrerà di avere alle spalle la maggioranza politica che dice di avere, questo è il primo banco di prova. Ma potrà dire di avere superata la prima prova solo se riuscirà a presentarsi alle Camere con una ipotesi credibile di risposta alla sfida aperta dalla sentenza della Corte”. E questo potrà accadere solo a condizione che le singoli componenti del (nuovo) governo, a cominciare innanzitutto dal Pd, si mostreranno da subito disposte, da un lato, a ragionare su una legge buona per il sistema politico indipendentemente dai loro conseguenti (e presunti) ritorni elettorali. E senza dare più spazio alle mille e una proposta degli esperti di sistemi elettorali. Il tempo dei tecnici è alle spalle. Ora è, o dovrebbe essere, quello della politica.